Il computo della maggiorazione per il calcolo della pensione di inabilità tiene conto della retribuzione pensionabile computata in base ai criteri generali utilizzati per determinare l’importo dei trattamenti pensionistici, tra i quali va annoverato, nel caso di part time, il sistema di riproporzionamento all’orario effettivamente svolto.

Nota a Cass. 25 gennaio 2018, n. 1921

Francesca Albiniano

Il calcolo della pensione di inabilità viene effettuato sommando l’importo dell’assegno di invalidità, non integrato al minimo (sul punto, v. Cass. n. 14170/2015), con una maggiorazione che, per gli iscritti all’AGO (assicurazione generale obbligatoria), prende a riferimento “l’assegno di pensione che sarebbe spettato (all’iscritto) considerando un’anzianità convenzionale (ossia tenendo conto anche dei contributi che si sarebbero potuti versare tra la data della domanda amministrativa e la data di compimento dell’età pensionabile, fino ad un’anzianità contributiva massima di 40 anni)”.

La specificazione è della Corte di Cassazione (25 gennaio 2018, n. 1921) che ha sistematizzato i principi posti dalla complessa disciplina normativa in materia.

Come noto, l’art. 2, co. 3, L. 12 giugno 1984, n. 222,  dispone che “La pensione di inabilità, reversibile ai superstiti è costituita dall’importo dell’assegno di invalidità, non integrato ai sensi del terzo comma del precedente articolo, calcolato secondo le norme in vigore nell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti dei lavoratori dipendenti ovvero nelle gestioni speciali dei lavoratori autonomi, e da una maggiorazione determinata in base ai seguenti criteri:

a) per l’iscritto nell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti dei lavoratori dipendenti, la maggiorazione è pari alla differenza tra l’assegno di invalidità e quello che gli sarebbe spettato sulla base della retribuzione pensionabile, considerata per il calcolo dell’assegno medesimo con una anzianità contributiva aumentata di un periodo pari a quello compreso tra la data di decorrenza della pensione di inabilità e la data di compimento dell’età pensionabile. In ogni caso, non potrà essere computata una anzianità contributiva superiore a 40 anni;

b) per l’iscritto nelle gestioni speciali dei lavoratori autonomi, la misura della maggiorazione è costituita dalla differenza tra l’assegno di invalidità e quello che gli sarebbe spettato al compimento dell’età pensionabile, considerato il periodo compreso tra la data di decorrenza della pensione di inabilità e la data di compimento di detta età coperto da contribuzione di importo corrispondente a quello stabilito nell’anno di decorrenza della pensione per i lavoratori autonomi della categoria alla quale l’assicurato ha contribuito, continuativamente o prevalentemente, nell’ultimo triennio di lavoro autonomo”.

I giudici rilevano che, con riguardo all’anzianità contributiva, la legge rinvia ad uno specifico periodo che è quello “compreso tra la data di decorrenza della pensione di inabilità e la data di compimento dell’età pensionabile” e, per quanto concerne la base pensionabile, alla “retribuzione pensionabile” che sarebbe spettata all’iscritto.

Si fa pertanto un chiaro riferimento alla base pensionabile dello specifico iscritto, che “deve, quindi, tenere in considerazione l’effettivo rapporto di lavoro in essere al momento della presentazione della domanda amministrativa di pensione di inabilità ossia le modalità di prestazione dell’attività lavorativa svolte fino a tale data”.

Di conseguenza, il computo della maggiorazione terrà conto “del periodo (fittizio, in quanto ampliato) dettato dalla legge (ossia comprensivo, oltre che dell’anzianità contributiva maturata alla data di presentazione della domanda di pensione di inabilità, altresì delle settimane intercorrenti tra la decorrenza della pensione e il compimento dell’età pensionabile) e della retribuzione pensionabile calcolata secondo i criteri generali di computo utilizzati per determinare l’importo dei trattamenti pensionistici, tra cui va annoverato il sistema di riproporzionamento all’orario effettivamente svolto…, incidendo la contribuzione ridotta sulla misura della pensione (cfr. sulla possibile divergenza tra anzianità contributiva tout court e minimale contributivo con riguardo ai lavoratori con orario parziale, Cass. n. 8565/2016)”.

La Corte Costituzionale (n. 255/2001), in un’ipotesi di modifica dell’orario di lavoro da part time a full time, ha ritenuto che il quantum della maggiorazione fosse da determinare prendendo a parametro, ai fini del computo, la retribuzione relativa al tipo di attività lavorativa concernente il periodo precedente la domanda amministrativa del beneficio previdenziale.

Pertanto, il computo della maggiorazione di cui all’art. 2, L. n. 222/1984, va operato tenendo conto della “contribuzione fittizia relativa alle connotazioni specifiche del rapporto di lavoro (nella specie, orario di lavoro parziale) svolto dall’assicurato al momento del riconoscimento della pensione di inabilità”.

Pensione di inabilità e trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: