Il datore di lavoro può comunicare verbalmente la disdetta del contratto collettivo aziendale a meno che le parti non abbiano espressamente previsto la forma scritta.
Nota a Cass. 2 febbraio 2018, n. 2600
Maria Novella Bettini
“In mancanza di norme che prevedano, per i contratti collettivi, la forma scritta e in applicazione del principio generale della libertà della forma (in base al quale le norme che prescrivono forme peculiari per determinati contratti o atti unilaterali sono di stretta interpretazione, ossia insuscettibili di applicazione analogica), un accordo aziendale è valido anche se non stipulato per iscritto”.
“Una volta stabilita la libertà della forma dell’accordo o del contratto collettivo di lavoro, la medesima libertà deve essere ravvisata anche riguardo agli atti che ne siano risolutori, come il mutuo dissenso” (art. 1372, co.1, c.c.) o il recesso unilaterale (o disdetta) ex art. 1373, co. 2, c.c. (v. Cass. n. 14730/2000 e Cass. n. 5454/90).
Sicché, in difetto di una previsione che imponga la comunicazione scritta del recesso, la disdetta può intervenire sul piano verbale.
È quanto affermato dalla Corte di Cassazione 2 febbraio 2018, n. 2600 (v. anche Cass. SU n. 3318/1995), secondo cui, qualora la legge non prescriva l’adozione di vincoli formali, come nel caso degli accordi o dei contratti collettivi di lavoro, “si riespande il principio della libertà della forma della manifestazione di volontà, tanto per il contratto quanto per i negozi connessivi (come il recesso unilaterale ex art. 1373, co. 2, c.c.)” – anche se tale libertà, nel caso di disdetta del contratto collettivo, è onerata, ex art. 2697 c.c., della dimostrazione dell’esistenza di un’effettiva disdetta verbale.
La Corte precisa inoltre che, anche se qualsiasi atto, “per esistere nel mondo giuridico”, deve pur sempre manifestarsi all’esterno ed assumere, quindi, una qualche forma, sia essa verbale, scritta, o per fatti concludenti, la forma libera costituisce la regola, mentre quella vincolata rappresenta un’eccezione, in ossequio al principio di libertà delle forme che deriva dall’art. 1325, n. 4, c.c. (peraltro, quando la Cassazione ha statuito la necessità della forma scritta in assenza di espressa disposizione normativa, ciò è avvenuto in base ad un’interpretazione estensiva e non analogica di norme che imponevano la redazione per iscritto di atti connessi – si pensi, ad es., al contratto che risolva un preliminare comportante l’obbligo di trasferire la proprietà o diritti reali su immobili (v. Cass. n. 13290/2015 e Cass. S.U. n. 8878/1990).
Pertanto, non è possibile, pur in ragione di esigenze funzionalistiche che consigliano l’adozione d’un testo scritto, imporre la forma scritta “in difetto d’una sanzione a pena di nullità prevista dalla legge o dall’autonomia privata”.
Nella fattispecie, l’accordo collettivo, di durata annuale, prevedeva il tacito rinnovo salvo disdetta. L’azienda, tuttavia, aveva disdettato il ccnl verbalmente con conseguente mancato pagamento di una porzione dell’importo del premio aziendale previsto dall’accordo in questione.