Le ore di guardia trascorse dal lavoratore al proprio domicilio con l’obbligo di rispondere alle chiamate del datore di lavoro entro un termine breve costituiscono “orario di lavoro”. L’obbligo di restare fisicamente presente nel luogo stabilito dal datore di lavoro e il vincolo di raggiungere la sede lavorativa entro un termine breve (nella fattispecie otto minuti) limitano fortemente le possibilità di svolgere altre attività.
Nota a Corte di Giustizia UE 21 febbraio 2018, C-518/15
Fabrizio Girolami
Le ore di guardia trascorse dal lavoratore al proprio domicilio con l’obbligo di rispondere alle convocazioni del datore di lavoro entro un termine breve – nella fattispecie entro otto minuti – devono essere considerate come “orario di lavoro” e, come tali, vanno retribuite.
Lo ha affermato la Corte di Giustizia (V Sez.) dell’Unione europea con sentenza 21 febbraio 2018, nella causa C-518/15 (Ville de Nivelles / Rudy Matzak), in relazione alla vicenda di un vigile del fuoco volontario (pompier volontaire), di nazionalità belga, in servizio presso la stazione della città di Nivelles.
In particolare, tra le varie questioni, il giudice del rinvio aveva chiesto se la direttiva 2003/88/CE “osti alla possibilità di considerare le ore di guardia a domicilio come orario di lavoro qualora, anche se il servizio di guardia è svolto presso il domicilio del lavoratore, i vincoli gravanti su quest’ultimo durante la guardia (come l’obbligo di rispondere alle chiamate dei datori di lavoro entro 8 minuti), limitino in modo significativo le possibilità di svolgere altre attività”.
Nel pronunciarsi su questa specifica questione pregiudiziale, la Corte di Giustizia ha richiamato la propria pregressa giurisprudenza relativa alla qualificazione del servizio di guardia come “orario di lavoro” o “periodo di riposo”.
Secondo il consolidato orientamento della Corte, il fattore determinante per la qualificazione delle ore di guardia come “orario di lavoro” è costituito dal fatto che “il lavoratore è costretto a essere fisicamente presente nel luogo stabilito dal datore di lavoro e a tenersi a disposizione del medesimo per poter immediatamente fornire le opportune prestazioni in caso di bisogno” (cfr. CGUE 9 settembre 2003, C‑151/02). Diverso è invece il caso in cui al lavoratore sia consentito svolgere le ore di guardia secondo un sistema di reperibilità che vuole che esso sia sempre raggiungibile, senza per questo essere obbligato ad essere presente sul luogo di lavoro; in tal caso il lavoratore può gestire il suo tempo con maggiore libertà e dedicarsi ai propri interessi personali e sociali.
Applicando tali principi al caso in esame, la Corte ha evidenziato che il signor Matzak non solo doveva essere raggiungibile durante i servizi di guardia ma era anche obbligato, da un lato, a rispondere alle convocazioni del datore di lavoro entro otto minuti e, dall’altro, a essere fisicamente presente nel luogo stabilito dal datore di lavoro (coincidente non con il luogo di lavoro, ma con il luogo del suo domicilio).
Orbene, secondo la Corte, “l’obbligo di essere fisicamente presente nel luogo stabilito dal datore di lavoro nonché il vincolo derivante, da un punto di vista geografico e temporale, dalla necessità di raggiungere il luogo di lavoro entro 8 minuti, sono di natura tale da limitare in modo oggettivo le possibilità di un lavoratore che si trovi nella condizione del sig. Matzak di dedicarsi ai propri interessi personali e sociali”.
Alla luce di tali penetranti vincoli, sottolinea la Corte, la situazione del signor Matzak si distingue sensibilmente da quella di un lavoratore che deve, durante le sue ore di guardia, essere semplicemente a disposizione del suo datore di lavoro affinché quest’ultimo possa contattarlo, concludendo che l’art. 2 della direttiva 2003/88/CE va interpretato nel senso che le ore di guardia che un lavoratore trascorre al proprio domicilio con l’obbligo di rispondere alle convocazioni del suo datore di lavoro entro otto minuti, obbligo che limita molto fortemente le possibilità di svolgere altre attività, devono essere considerate come “orario di lavoro”.
La fattispecie. Nei servizi pubblici antincendio predisposti in Belgio, i pompieri sono classificati in due categorie: i) vigili del fuoco “professionisti”, normalmente impiegati a tempo pieno e retribuiti di conseguenza; ii) vigili del fuoco “volontari” che, come tali, ricevono una remunerazione per la loro disponibilità ad intervenire in taluni periodi, garantendo anche turni di guardia e permanenza alla caserma, con calendario stabilito all’inizio dell’anno (il loro servizio è perciò detto “discontinuo”).
Per effetto degli accordi applicati al suo reclutamento, il signor Matzak, a partire dal 1981 aveva acquisito lo “status” di vigile del fuoco volontario, obbligandosi, nei confronti del datore di lavoro, a rendersi disponibile per lo svolgimento del servizio di guardia una settimana ogni quattro (la sera e il fine settimana). Quanto alla remunerazione applicata, il vigile era retribuito esclusivamente in relazione al tempo trascorso in servizio attivo, con la conseguenza che il tempo trascorso in servizio di guardia senza che fosse richiesto lo svolgimento di attività professionale (cd. “servizio di reperibilità”) non era considerato come “orario di lavoro” e, come tale, non retribuibile.
Durante i periodi di reperibilità, il vigile era tenuto a rimanere raggiungibile e, nell’ipotesi di chiamata, a recarsi presso la stazione dei vigili nel più breve tempo possibile e, in ogni caso, in non più di otto minuti in condizioni di normalità. Per effetto di tale regime, il vigile del fuoco aveva fissato il luogo del proprio domicilio nelle immediate vicinanze della stazione, vedendo conseguentemente limitate le sue attività durante il servizio di guardia.
Ritenendo che le condizioni di lavoro applicate fossero del tutto insoddisfacenti, specialmente per il mancato riconoscimento retributivo delle ore trascorse in servizio di guardia (che, a suo avviso, dovevano invece essere considerate come “orario di lavoro”), il signor Matzak aveva instaurato un procedimento giudiziario dinanzi al tribunale del lavoro (Tribunal du travail) contro la città di Nivelles. Con sentenza del 22 marzo 2012, il giudice di primo grado aveva riconosciuto al ricorrente il risarcimento danni per mancato pagamento, durante gli anni di servizio, della retribuzione relativa alle sue prestazioni in qualità di vigile del fuoco volontario, in particolare ai suoi servizi di guardia al proprio domicilio.
La città di Nivelles aveva proposto appello avverso la suddetta sentenza dinanzi alla Corte del lavoro (Cour du travail) di Bruxelles. Con ordinanza del 28 settembre 2015 il giudice di seconda istanza – in applicazione della facoltà prevista dall’articolo 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) – aveva sospeso il procedimento e sottoposto una domanda di pronuncia pregiudiziale (cd. rinvio pregiudiziale) alla Corte di Giustizia UE relativamente alla corretta interpretazione della direttiva 2003/88/CE, concernente “taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro”.