Il licenziamento del lavoratore al compimento dei 25 anni non è contrario al principio di non discriminazione in base all’età.
Nota a Cass. 21 febbraio 2018, n. 4223
Miriam Sorrentino e Alfonso Tagliamonte
Il recesso intimato nei confronti di un lavoratore assunto con rapporto di lavoro “a chiamata” e licenziato in seguito al compimento dell’età massima di 25 anni (età prevista dalla legge come condizione di legittimità del rapporto stesso) non configura una discriminazione per età.
In questo senso, si è pronunciata la Corte di Cassazione (21 febbraio 2018, n. 4223) ritenendo non discriminatorio l’art. 13, co.2., DLGS n. 81/2015, che, come noto, afferma: “Il contratto di lavoro intermittente può in ogni caso essere concluso con soggetti con meno di 24 anni di età, purché le prestazioni lavorative siano svolte entro il venticinquesimo anno, e con più di 55 anni”.
In materia, la Corte di Giustizia UE già con sentenza 19 Luglio 2017, C-143/2016 aveva ritenuto che la disposizione sul lavoro a chiamata, che “autorizza un datore di lavoro a concludere un contratto di lavoro intermittente con un lavoratore che abbia meno di 25 anni, qualunque sia la natura delle prestazioni da eseguire, e a licenziare detto lavoratore al compimento del venticinquesimo anno, giacché tale disposizione persegue una finalità legittima di politica del lavoro e del mercato del lavoro e i mezzi per conseguire tale finalità sono appropriati e necessari”, non contrasta con il quadro generale in tema di parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro delineato dalla la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e dalla Direttiva 2000/78/CE. Tale disposizione, infatti, si inserisce in un contesto normativo finalizzato a valorizzare la flessibilità nel mercato del lavoro, quale strumento per incentivare l’occupazione, soprattutto giovanile.
Sempre secondo la Corte di Giustizia, la promozione delle assunzioni costituisce una finalità legittima di politica sociale e dell’occupazione degli Stati membri, in particolare quando si tratta di favorire l’accesso dei giovani all’esercizio di una professione (v. sentenze 21 luglio 2011, C-159/10 e C-160/10, punto 49 e giurisprudenza ivi citata). In altre parole, “l’obiettivo di favorire il collocamento dei giovani nel mercato del lavoro onde promuovere il loro inserimento professionale e assicurare la protezione degli stessi può essere ritenuto legittimo ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2000/78” (v. sentenza 10 novembre 2016, C-548/15, punto 27).
Pertanto, sono ammesse forme flessibili di lavoro per eliminare forme di lavoro illegale e per agevolare la mobilità dei lavoratori e rendere gli stipendi adattabili al mercato, così da facilitare l’accesso allo stesso soprattutto da parte dei soggetti “minacciati dall’esclusione sociale”.
La Corte conclude affermando che “se il rapporto lavorativo potesse proseguire oltre il venticinquesimo anno di età e potesse essere sciolto solo secondo i criteri generali verrebbe ad essere compromessa la ratio della disposizione globalmente considerata e cioè di favorire l’impiego attraverso l’istituto del lavoro intermittente dei soli soggetti al di sotto del venticinquesimo anno di età”.