Il licenziamento del dipendente che utilizza l’autovettura aziendale è illegittimo.
Nota a Cass. 19 gennaio 2018, n. 1377
Annarita Lardaro
Il licenziamento disciplinare intimato al dipendente che si avvalga sistematicamente delle auto aziendali per tornare a casa in pausa pranzo e a fine giornata è illegittimo. Tale utilizzo, infatti, non travalica un concetto “lato” di uso del mezzo per motivi di lavoro e, in ogni caso, la sanzione espulsiva non è proporzionata all’intensità dell’elemento soggettivo ed all’assenza di pregiudizio derivatone alla società.
A statuirlo è la Corte di Cassazione con la sentenza n. 1337 del 19 gennaio 2018 (confermando quanto già deciso in secondo grado dalla Corte d’Appello di Napoli).
Il caso sottoposto all’attenzione della Cassazione traeva origine dal licenziamento intimato ad un lavoratore, impiegato in una nota casa automobilistica, il quale faceva uso sistematico, durante la pausa pranzo e la sera per rientrare alla propria abitazione, dell’auto aziendale. In particolare, il dipendente aveva richiesto un pass di accesso nominativo abbinato ad un’autovettura dell’azienda dichiarata come propria. La società aveva, pertanto, ritenuto di irrogargli il provvedimento espulsivo (licenziamento per giusta causa).
Al riguardo, la Suprema Corte ha ribadito che il licenziamento per giusta causa è la massima sanzione disciplinare adottata dal datore di lavoro in tutti i casi in cui non sia possibile la prosecuzione, neppure provvisoria, del rapporto di lavoro; in sostanza, devono essersi verificate delle gravi negazioni degli elementi essenziali del rapporto di lavoro, dalle quali siano derivati dei danni all’azienda.
In altre parole, il lavoratore deve aver leso il rapporto fiduciario, tenendo una condotta animata da un intento profittatore in aperto contrasto con le logiche aziendali (sull’intento predatorio del dipendente in caso di furto, si v. Cass. n. 10436/2017, in questo sito, annotata da F. ALBINIANO).
La Corte, proseguendo il proprio ragionamento, ha sottolineato come la valutazione sulla giusta causa di licenziamento debba riguardare non solo la gravità dei fatti addebitati e l’intensità del profilo soggettivo, ma anche la proporzionalità degli stessi rispetto alla sanzione inflitta.
Nel concentrarsi su tale profilo, la Cassazione ha chiarito che il concetto ampio e generico di utilizzo aziendale dell’autovettura elaborato dai giudici di merito, nel caso di specie non serve a denotare la condotta posta in essere dal dipendente (che rimane illecita), ma semplicemente a connotare in termini di minor gravità il comportamento a quest’ultimo contestato. Tale circostanza, unita alla ridotta intensità dell’elemento soggettivo e all’assenza di conseguenze negative in capo alla società, permette di confermare la mancanza di proporzionalità della condotta rispetto alla sanzione del licenziamento, dunque illegittimo, con conseguente obbligo di reintegra in capo al datore di lavoro.
In conclusione, la Cassazione, pur confermando l’illegittimità del comportamento del dipendente, non lo ha ritenuto, alla luce del principio di proporzionalità, tale da giustificare l’irrogazione della massima sanzione prevista dal nostro ordinamento; al limite, si poteva ragionevolmente ritenere che tale condotta fosse suscettibile di un’ammonizione scritta.
(Per un approfondimento della nozione di giusta causa di licenziamento, v. S. ROSSI, “Giusta causa di licenziamento”, in questo sito).