NOZIONE DI GIUSTA CAUSA. La nozione di giusta causa trova la propria fonte nella legge che, al fine di adeguare le norme alla realtà, articolata e mutevole nel tempo, configura una disposizione (ascrivibile alla tipologia delle cosiddette clausole generali) di contenuto astratto e limitato che richiede di essere specificato in sede interpretativa (Cass. 6 novembre 2017, n. 26273). In base all’art. 2119 c.c., “Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto prima della scadenza del termine, se il contratto è a tempo determinato, o senza preavviso, se il contratto è a tempo indeterminato, qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto”.
Le più recenti pronunce di legittimità e di merito in tema di giusta causa di licenziamento pongono in luce una serie di rilevanti indirizzi che rappresentano una “linea guida” essenziale per gli operatori, le imprese ed i lavoratori.
TIPIZZAZZIONI ESEMPLIFICATIVE. Essendo la giusta causa una nozione legale, ogni tipizzazione/elencazione contenuta nei contratti collettivi o nel contratto individuale in atti unilaterali del datore di lavoro ha valenza esemplificativa e non tassativa; perciò non vincola il giudice (la natura esemplificativa del codice disciplinare è stata ultimamente confermata anche da Cass. 12 febbraio 2016, n. 2830). Tuttavia, il giudice può “far riferimento ai contratti collettivi e alle valutazioni che le parti sociali compiono in ordine alla valutazione della gravità di determinati comportamenti rispondenti, in linea di principio, a canoni di normalità, con accertamento da operare caso per caso, valutando la gravità in considerazione delle circostanze di fatto e prescindendo dalla tipologia determinata dai contratti collettivi” (v. Cass. 22 giugno 2017, n. 15590; Cass. 22 dicembre 2016, n. 27464 e Cass. 23 marzo 2016, n. 5777);
Stante l’esemplificatività delle prescrizioni collettive, la giusta causa sussiste anche in difetto di una specifica previsione ad opera del contratto collettivo, in quanto non è esclusa la sussistenza della giusta causa per un grave inadempimento o per un grave comportamento del lavoratore contrario alle norme dell’etica comune o del comune vivere civile”.
Diversamente, la previsione negoziale che ricolleghi ad uno specifico fatto soltanto una sanzione conservativa ovvero consenta il licenziamento solo in presenza di precise circostanze vincola il giudice, trattandosi di una condizione di maggior favore per il lavoratore (fatta salva dal legislatore ex art. 12, L n. 604/1966).
GRAVE LESIONE DEL VINCOLO FIDUCIARIO E CORRETTEZZA FUTURA. La giusta causa “deve rivestire il carattere di grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro e, in particolare, dell’elemento fiduciario” (v. Cass. 10 novembre 2017, n. 26679; 18 maggio 2017, n. 12565 e Cass. n. 17303/2016 a proposito di giusta causa in ipotesi di risoluzione consensuale del rapporto). Nel senso che la nozione di giusta causa, sia da ricollegare o ad un gravissimo inadempimento, v. Cass. n. 25384/2015; ovvero ad un’altra causa oggettivamente idonea a ledere il vincolo fiduciario, v. Cass. n. 3136/ 2015.
Inoltre, il prestatore non deve porre in essere condotte suscettibili, “per le concrete modalità e il contesto di riferimento, di porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento, denotando scarsa inclinazione all’attuazione degli obblighi in conformità a diligenza, buona fede e correttezza” (v. Cass. 24 novembre 2016, n. 24023).
PREGIUDIZIO ANCHE NON ECONOMICO AGLI SCOPI AZIENDALI. Il lavoratore è tenuto non solo a fornire la prestazione richiesta, ma anche, quale obbligo accessorio, a non porre in essere, “comportamenti tali da ledere gli interessi morali e materiali del datore di lavoro o comprometterne il rapporto fiduciario (v. Cass. 31 luglio 2015, n. 16268). …perché idonei, per le concrete modalità con cui si manifestino, ad arrecare un pregiudizio, anche non necessariamente di ordine economico, agli scopi aziendali (Cass. 18 settembre 2012, n. 15654). Si pensi, ad esempio, alle condotte contrarie alle norme dell’etica corrente e del comune vivere civile” (Cass. 1 dicembre 2014, n. 25380), o che rivestano un disvalore ambientale, rappresentando un modello diseducativo per i colleghi di lavoro.
CAUSA EXTRALAVORATIVA. Il concetto di giusta causa non è limitato all’inadempimento della prestazione tanto grave da giustificare la risoluzione immediata del rapporto di lavoro, ma è estensibile anche a “condotte extralavorative, che, tenute al di fuori dell’azienda e dell’orario di lavoro e non direttamente riguardanti l’esecuzione della prestazione lavorativa, nondimeno possano essere tali da ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario tra le parti” (v. Cass. 18 agosto 2016,, n. 17166). In altri termini, le condotte concernenti la vita privata del lavoratore possono risultare idonee ad inficiare tale vincolo, “allorquando abbiano un riflesso, sia pure soltanto potenziale ma oggettivo, sulla funzionalità del rapporto compromettendo le aspettative d’un futuro puntuale adempimento dell’obbligazione lavorativa, in relazione alle specifiche mansioni o alla particolare attività” (il riferimento è alla sopravvenuta inidoneità del lavoratore allo svolgimento delle sue mansioni, non dal punto di vista fisico o tecnico, bensì con riguardo alle qualità morali o d’immagine della persona richieste dal tipo di prestazione (Cass. 9 ottobre 2015, n. 20319; Cass. 2 agosto 2010, n. 17969, MGL, 2011, 158 e Trib. Roma 28 gennaio 2009, ivi, 2009, 319). Per quanto concerne in particolare (per il settore privato), il reato eventualmente commesso dal lavoratore, inerente o estraneo al rapporto di lavoro, esso non costituisce di per sé giusta causa di licenziamento, dovendosi invece accertare caso per caso la sua idoneità ad impedire la prosecuzione anche temporanea della collaborazione fra le parti (v. Cass. 17 aprile 2001, n. 5633, RIDL, 2002, II, 381).
IMMEDIATEZZA RELATIVA. Per la legittimità del licenziamento per giusta causa è necessaria l’immediatezza della contestazione dell’addebito. In altre parole, occorre che vi sia una contiguità temporale con il fatto che ha dato origine al licenziamento o con il momento in cui il datore di lavoro è venuto a conoscenza del fatto stesso. Si tratta, tuttavia, di un’ immediatezza che va intesa in senso relativo poiché va rapportata al tempo necessario per l’accertamento dei fatti da parte dell’azienda e per la loro adeguata valutazione (il relativo onere della prova grava sul datore di lavoro interessato a giustificare il ritardo). Qualora poi si sia in presenza di inadempimenti reiterati e complessivamente intollerabili occorre valutare l’immediatezza con riferimento all’ultimo episodio (sempre che, in precedenza, il datore di lavoro abbia avvisato il prestatore del progressivo deteriorarsi della situazione, anche senza infliggergli sanzioni disciplinari – v. Cass.1 dicembre 2010, n. 24361 e 17 dicembre 2008, n.29480, MGL, 2009, 556).
VALUTAZIONE GIUDIZIARIA DELLA GRAVITA’ DEI FATTI. Il giudice deve valutare: da un lato, la gravità dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi e all’intensità del profilo intenzionale; dall’altro, la proporzionalità fra tali fatti e la sanzione inflitta, per stabilire se la lesione dell’elemento fiduciario, su cui si basa la collaborazione del prestatore di lavoro, sia tale in concreto da giustificare la massima sanzione disciplinare” (v. fra tante, Cass. 5 luglio 2016, n. 13676).
ONERE DELLA PROVA. In tema di licenziamento per giusta causa, è onere del datore di lavoro dimostrare il fatto ascritto al dipendente, provandolo sia nella sua materialità, sia con riferimento all’elemento psicologico del lavoratore, mentre spetta a quest’ultimo la prova di una esimente (cfr. Cass. 6 novembre 2017, n. 26272 relativa al fraudolento inserimento nelle registrazioni di cassa di operazioni contabili diverse da quelle materialmente effettuate e Cass. n. 17304/2016);
DIMISSIONI. La giusta causa può essere alla base anche delle dimissioni del lavoratore, concretizzandosi in fatti di gravità tale da impedire la prosecuzione del rapporto di lavoro, anche temporaneamente, per il periodo di preavviso, se a tempo indeterminato, o fino alla scadenza del termine apposto al contratto, se a tempo determinato. Si pensi, ad esempio, alle ipotesi di: mancata retribuzione, in quanto grave inadempimento non occasionale ma prolungato nel tempo; mancata regolarizzazione della posizione contributiva del lavoratore; omesso versamento dei contributi previdenziali; molestie sessuali; mobbing (ossia lesione dell’equilibrio psico-fisico del lavoratore a causa di reiterati comportamenti vessatori da parte di superiori gerarchici o di colleghi); variazioni notevoli delle condizioni di lavoro a seguito di cessione dell’azienda; spostamento del lavoratore da una sede all’altra senza che sussistono comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive; demansionamento; tentativo dell’impresa di coinvolgere il dipendente in attività illecite; mancata predisposizione delle cautele necessarie a garantire la salute psico-fisica professionale del lavoratore in violazione dell’art. 2087 c.c. (cfr. Trib. Velletri 21 febbraio 2017, n. 305).
(Per un approfondimento della nozione di giusta causa di licenziamento, v., in questo sito, S. ROSSI, Giusta causa di licenziamento, e A. LARDARO, Licenziamento e utilizzo dell’auto aziendale, Nota a Cass. 19 gennaio 2018, n. 1377).
F. I.