L’impegno di mantenere in vita un rapporto di lavoro non ha valore se invocato al momento in cui il rapporto sia già cessato per intervenuto licenziamento, peraltro ritenuto legittimo.

Nota a Trib. Milano 20 settembre 2017

Miriam Sorrentino e Annarita Lardaro

La promessa unilaterale da parte del datore di lavoro di due diversi impegni (mantenimento del posto di lavoro, stipendio e contributi fino alla pensione) “non può prescindere nella sua totalità dal sottostante rapporto di lavoro” fra promittente e società; essendo cessato tale rapporto di lavoro (per giustificato motivo oggettivo), conseguentemente viene meno “ogni effetto vincolante della promessa in esame”.

L’affermazione è del Tribunale di Milano (20 settembre 2017) relativamente ad una fattispecie in cui il lavoratore aveva ricevuto una dichiarazione dal datore di lavoro con la quale si affermava: “Qualora in azienda avvenissero dei mutamenti proprietari, desidero confermarLe il mio impegno a garantirLe fin d’ora la Sua posizione lavorativa e relativa retribuzione nell’attuale sede, fino al raggiungimento dell’anzianità pensionabile”. Alla morte del dichiarante, tuttavia, si era verificato un cambiamento sostanziale della titolarità dell’azienda con cessazione del rapporto di lavoro e conseguente esclusione della garanzia di cui sopra.

Come noto, “La promessa unilaterale di una prestazione non produce effetti obbligatori fuori dei casi ammessi dalla legge”(art. 1987 c.c.), dunque, al di là di tali casi, non è fonte autonoma di obbligazione, ma “comporta solo una presunzione iuris tantum dell’esistenza del rapporto sottostante che deve essere esistente e valido. Conseguentemente viene meno ogni effetto vincolante della promessa ove si accerti che il rapporto non è sorto, è invalido o si è estinto” (Cass. nn. 2068/2016 e 13506/2014).

Promessa di conservare il posto e licenziamento
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