Il fallimento dell’impresa non esclude la competenza del giudice del lavoro sulla domanda di accertamento della continuità del rapporto di lavoro con il presunto cedente di ramo d’azienda.

Nota a Cass. 23 gennaio 2018, n. 1646

Annarita Lardaro

La domanda volta a far dichiarare la nullità, l’invalidità o l’inefficacia degli atti di cessione del ramo di azienda e la conseguente domanda di condanna al ripristino del rapporto di lavoro con la cedente appartengono, anche in caso di fallimento della cessionaria, alla cognizione del giudice del lavoro, quale giudice del rapporto e delle controversie relative allo “status” del lavoratore, in quanto l’accertamento richiesto in tali ipotesi non costituisce premessa di una pretesa economica nei confronti della massa fallimentare e, dunque, non richiede la cognizione del giudice fallimentare, chiamato soltanto alla qualificazione dei diritti di credito dipendenti dal rapporto di lavoro, in funzione della partecipazione paritaria al concorso tra creditori e con effetti esclusivamente endoconcorsuali.

È quanto ha statuito la Corte di Cassazione con sentenza n. 1646 del 23 gennaio 2018.

Nel caso sottoposto all’attenzione della Corte, la società sosteneva di aver ceduto un ramo di azienda; di contro, secondo i lavoratori coinvolti non erano presenti, nell’ipotesi in esame, gli elementi del vero e proprio trasferimento di ramo d’azienda. Pertanto, i dipendenti decidevano di rivolgersi al giudice del lavoro, chiedendogli di confermare che, non sussistendone gli estremi, erano di fatto rimasti alle dipendenze del cedente.

Inoltre, nelle more del giudizio d’appello la società presunta cessionaria veniva dichiarata fallita.

La Corte Territoriale aveva ritenuto infondata in via preliminare l’eccezione di improcedibilità delle domande dei lavoratori in quanto, a parere della società, attratte nel foro concorsuale, confermando, pertanto, la competenza dei giudici del lavoro.

La Suprema Corte ha, in proposito, precisato che:

a) Il giudice del lavoro è il giudice del rapporto e, pertanto, delle controversie aventi ad oggetto lo status del lavoratore, in riferimento ai diritti alla corretta instaurazione, vigenza e cessazione del rapporto, della sua qualificazione e qualità, e finalizzate a pronunce di mero accertamento oppure di carattere costitutivo (come quelle di annullamento del licenziamento o di reintegrazione nel posto di lavoro), in quanto appartenenti alla cognizione speciale propria di tale giudice (ex multis, Cass. 3 febbraio 2017, n. 2975; Cass. 29 settembre 2016, n. 19308);

b) il giudice fallimentare è il giudice che si occupa del concorso fra creditori, con riferimento anche all’accertamento e alla qualificazione dei diritti di credito dipendenti dal rapporto di lavoro, in funzione della partecipazione al concorso (anche eventualmente in conseguenza di domande di accertamento o costitutive in funzione strumentale: Cass. 20 agosto 2013, n. 19271) e con effetti esclusivamente endoconcorsuali, a norma dell’art. 96 ult. comma, L. fall., ovvero destinate comunque ad incidere sulla procedura concorsuale e che pertanto devono essere esaminate nell’ambito di quest’ultima per assicurarne l’unità e per garantire la parità dei creditori;

c) la circostanza che la domanda dei lavoratori abbia riguardato l’illegittimità della cessione del preteso ramo di azienda non ha fatto venir meno la competenza del giudice del lavoro dato che la domanda “era strumentale soltanto all’accertamento della continuità del rapporto di lavoro […] con la società cedente”;

d) la sentenza d’appello ha proceduto coerentemente in quanto, considerando insussistente il trasferimento di un ramo di azienda, si è limitata ad affermare la continuità dei rapporti di lavoro con la società cedente, senza intervenire su pretese di carattere economico.

Infine, la Cassazione, in linea con il proprio consolidato orientamento, ha ribadito che ai fini del trasferimento di ramo d’azienda previsto dall’art. 2112 c.c. anche nel testo modificato dall’art. 32 D Lgs. 276/2003 costituisce elemento costitutivo della cessione, l’autonomia funzionale del ramo ceduto, ovvero la sua capacità, già al momento dello scorporo dal complesso cedente, di provvedere ad uno scopo produttivo con i propri mezzi funzionali ed organizzativi e quindi di svolgere senza integrazioni di rilievo da parte del cessionario il servizio o la funzione finalizzati nell’ambito dell’impresa cedente (così Cass. 31 maggio 2016, n. 11247; sul punto si v. anche V. BI BELLO, “Trasferimento del ramo d’azienda”, nota a Cass. n. 25382/2017, in questo sito).

(In generale, il tema del rapporto tra procedure concorsuali e diritto del lavoro sta assumendo crescente rilievo, per un approfondimento si v. M. MAGNANI, Crisi d’impresa tra diritto del lavoro e mercato, ADL, 2017; A. LASSANDARI, I licenziamenti e le procedure concorsuali, CSDLE, It, n. 354/2018; G. GAUDIO, Trasferimento d’azienda e crisi di impresa: una eterogenesi dei fini da parte del legislatore italiano?, CSDLE, It, n. 347/2017).

Fallimento dell’impresa e competenza del giudice del lavoro
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