Non costituisce cessione di ramo d’azienda il trasferimento di un gruppo di lavoratori non caratterizzati da competenze omogenee, idonee a fornire il medesimo servizio tramite un’organizzazione stabile e autonoma.
Nota a Trib. Milano 31 gennaio 2018
Miriam Sorrentino e Mariapaola Boni
Il trasferimento di ramo d’azienda può configurarsi anche nell’ipotesi in cui la cessione riguardi solo un gruppo di dipendenti caratterizzati da particolari competenze, stabilmente coordinati ed organizzati tra loro che prestino attività interagenti, capaci di tradursi in beni e servizi ben individuabili (v. Cass. n. 7131/2016).
È quanto osservato dal Tribunale di Milano (31 gennaio 2018), secondo cui, una volta individuato il gruppo professionalmente omogeneo, occorre valutare l’autonomia funzionale del medesimo, utilizzando un parametro logistico nel senso che l’organizzazione del gruppo deve risultare libera ed indipendente rispetto ad altre strutture facenti capo al datore di lavoro cedente.
In questo senso, l’autonomia funzionale del ramo d’azienda consente al ramo stesso di “provvedere ad uno scopo produttivo con i propri mezzi mezzi funzionali ed organizzativi (v. Cass. n. 1316/2017). Mentre non rilevano la produzione di utili, i mezzi, i capitali e la capacità economica imprenditoriale dell’entità trasferita (v. Cass. n. 25382/2017).
Pertanto, qualora manchi un’unicità della “caratterizzazione professionale” e vi sia, accanto alla aspecificità ed eterogeneità dei profili professionali, una mancanza di autonomia operativa delle attività svolte dal gruppo dei lavoratori, non si verte nell’ipotesi di trasferimento d’azienda.
I requisiti d’identificazione di un ramo aziendale consistono, infatti, nell’esistenza di un’entità produttiva stabile, caratterizzata da autonomia funzionale (art. 2112 c.c.).
Tale entità si riferisce ad un “complesso di persone ed elementi che consentono l’esercizio di un’attività economica finalizzata al perseguimento di un determinato obiettivo produttivo che, successivamente al trasferimento, conservi la propria identità”.
Compatibile con questa definizione è la cessione di un ramo d’azienda “dematerializzato” o “leggero”, in cui il fattore personale sia preponderante rispetto ai beni, come nel caso di in cui il gruppo di lavoratori trasferiti sia dotato di un particolare know how, vale a dire di un comune bagaglio di esperienze, conoscenze e capacità tecniche, idoneo a fornire il medesimo servizio (v. Cass n. 21917/ 2013).
Diversamente, secondo il Tribunale, non è applicabile l‘art. 2112 c.c. laddove non si verta in “ipotesi di cessione di un insieme organicamente finalizzato ex ante all’esercizio dell’attività di impresa, con autonomia funzionale di beni e strutture già̀ esistenti al momento del trasferimento e, dunque, non solo teorica o potenziale, risultando ipotizzabile una mera esternalizzazione di semplici reparti o uffici creati ad hoc in occasione e, verosimilmente, in funzione del trasferimento, quali articolazioni non autonome, unificate soltanto dalla volontà dell’imprenditore e non dall’inerenza dei rapporti di lavoro ad un ramo di azienda già costituito.
L’inapplicabilità̀ della norma di cui all’art. 2112 c.c. determina, quindi, la reviviscenza dei principi generali in materia contrattuale e, in particolare, del principio del necessario consenso del contraente ceduto nei fenomeni di cessione negoziale di cui all’art. 1406 c.c. Ne deriva l’immediato ed effettivo ripristino dei rapporti di lavoro, con mansioni corrispondenti ed adibizione alla medesima sede di lavoro”.
In questo senso, si è espresso il consolidato orientamento della giurisprudenza. In particolare, secondo la Corte di Cassazione (24 gennaio 2018, n. 1769) “è preclusa l’esternalizzazione come forma incontrollata di espulsione di frazioni non coordinate fra loro, di semplici reparti o uffici, di articolazioni non autonome unificate soltanto dalla volontà dell’imprenditore e non dall’inerenza del rapporto ad una entità economica dotata di autonoma ed obiettiva funzionalità” (Cass. 26 luglio 2016, n. 15438; Cass. 28 settembre 2015, n. 19141; Cass. 12 agosto 2014 n. 17901; tale interpretazione è, poi, in linea con la sentenza 6 marzo 2014, C-458/13 della Corte di Giustizia UE).