Le malattie di natura fisica o psichica, la cui origine sia riconducibile al rischio del lavoro, sono indennizzabili.
Nota a Cass., ord. 5 marzo 2018 n. 5066
Maria Novella Bettini
Anche la costrittività organizzativa può essere causa di malattia professionale indennizzabile. Poiché “nell’ambito del sistema del TU, sono indennizzabili tutte le malattie di natura fisica o psichica la cui origine sia riconducibile al rischio del lavoro, sia che riguardi la lavorazione, sia che riguardi l’organizzazione del lavoro e le modalità della sua esplicazione; dovendosi ritenere incongrua una qualsiasi distinzione in tal senso, posto che il lavoro coinvolge la persona in tutte le sue dimensioni, sottoponendola a rischi rilevanti sia per la sfera fisica che psichica (come peraltro prevede oggi a fini preventivi l’art. 28, co. 1, DLGS n. 81/2008)”.
È quanto affermato dalla Corte di Cassazione (ord. 5 marzo 2018, n. 5066) nel giudizio in cui una dipendente aveva chiesto l’indennità INAIL per la malattia professionale causata da stress lavorativo. I giudici di merito avevano respinto la domanda, affermando l’indennizzabilità soltanto delle malattie contratte a causa di lavorazioni specifiche previste nelle apposite tabelle. La Cassazione, invece, ha annullato la sentenza di merito, affermando il principio che sono indennizzabili tutte le malattie la cui origine sia riconducibile al rischio da lavoro, sia che questo attenga alla lavorazione, sia che riguardi l’organizzazione del lavoro e le modalità della sua esplicazione (per inciso, va altresì rilevato che la prescrizione del diritto alle prestazioni INAIL da malattia professionale – tre anni – decorre da quando l’interessato abbia avuto conoscenza della malattia, della sua origine professionale e del suo grado indennizzabile – Cass. ord. 6 febbraio 2018 n. 2842).
Nello specifico, la Corte osserva che, secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, “rileva non soltanto il rischio specifico proprio della lavorazione, ma anche il c.d. rischio specifico improprio; ossia non strettamente insito nell’atto materiale della prestazione ma collegato con la prestazione stessa” (come è stato affermato più volte per le attività prodromiche, per gli atti di locomozione interna, le pause fisiologiche e le attività sindacali ex art. 1 TU in materia di infortuni sul lavoro: cfr., tra le tante, Cass. n. 13882/2016, Cass. n. 7313/2016, Cass. n. 27829/2009; Cass. n. 10317/2006, Cass. n 16417/2005).
In particolare, per quanto concerne le malattie professionali (art.3, TU n. 1124/1965), già la Cassazione (n. 3227/2011) aveva esteso la protezione assicurativa “alla malattia riconducibile all’esposizione al fumo passivo di sigaretta subìta dal lavoratore nei luoghi di lavoro, situazione ritenuta meritevole di tutela ancorché, certamente, non in quanto dipendente dalla prestazione pericolosa in sé e per sé considerata (come “rischio assicurato”), ma soltanto in quanto connessa al fatto oggettivo dell’esecuzione di un lavoro all’interno di un determinato ambiente”. Del resto, rileva la Corte, anche nell’ambito dell’infortunio in itinere è esclusa qualsiasi rilevanza diretta con l’entità professionale del rischio o con la tipologia della specifica attività lavorativa cui l’infortunato sia addetto. Tuttavia, la legge ha apprestato tutela ad un “rischio generico (quello della strada) cui soggiace, in realtà, qualsiasi persona che lavori” (Cass. n. 7313/2016, cit.).
Sul punto, si sono espresse le SU della Cassazione (n. 3476/1994), rapportando la tutela assicurativa “al lavoro in sé e per sé considerato e non soltanto a quello reso presso le macchine”, sul presupposto che la pericolosità sia data dall’ambiente di lavoro. Sicché, oggi, la nozione centrale di rischio ambientale, per un verso delimita “le attività protette dall’assicurazione (lo spazio entro il quale esse si esercitano, a prescindere dalla diretta adibizione ad una macchina)”; e, per l’altro, individua “i soggetti che sono tutelati nell’ambito dell’attività lavorativa (tutti i soggetti che frequentano lo stesso luogo a prescindere dalla “manualità” della mansione ed a prescindere dal fatto che siano addetti alla stessa macchina)” (sul rischio ambientale, v. Corte Cost. n. 114/1977 e n. 206/1974).
Con specifico riguardo alle malattie professionali, poi, la legge (art. 10, co. 4, L. n. 38/2000) stabilisce che “sono considerate malattie professionali anche quelle non comprese nelle tabelle di cui al comma 3 delle quali il lavoratore dimostri l’origine professionale”. Pertanto, ogni forma di tecnopatia che possa ritenersi conseguenza di attività lavorativa risulta assicurata all’INAIL, anche se non è compresa tra le malattie tabellate o tra i rischi tabellati, dovendo in tale caso il lavoratore dimostrare soltanto il nesso di causa tra la lavorazione patogena e la malattia diagnosticata.
Già la Corte Cost. n. 179/1988 aveva affermato che “l’assicurazione contro le malattie professionali nell’industria è obbligatoria anche per le malattie diverse da quelle comprese nelle tabelle allegate concernenti le dette malattie e da quelle causate da una lavorazione specificata”; e, di conseguenza, la Cassazione (n. 5577/1998) ha rilevato che l’assicurazione contro le malattie professionali è obbligatoria per tutte le malattie, anche diverse da quelle comprese nelle tabelle allegate al citato T.U. e da quelle causate da una lavorazione specificata o da un agente patogeno indicato nelle tabelle stesse, purché si tratti di malattie delle quali sia comunque provata la causa di lavoro.
A partire dalla citata sentenza n. 179/1988, l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro si distacca dunque dal concetto statistico-assicurativo di rischio, al quale era originariamente legata. E ciò nell’ambito di una interpretazione dell’art. 38, co. 2 Cost, coordinata con l’art. 32 Cost., previsioni che mirano a garantire “con la massima efficacia la tutela fisica e sanitaria dei lavoratori” (v. Corte Cost. n. 100/1991).
In base all’art. 38 Cost., infatti, il fondamento della tutela assicurativa va ricercato, “non tanto nella nozione di rischio assicurato o di traslazione del rischio, ma nella protezione del bisogno a favore del lavoratore, considerato in quanto persona; dato che, come rileva la sentenza in esame, “la tutela dell’art. 38 non ha per oggetto l’eventualità che l’infortunio si verifichi, ma l’infortunio in sé; ed è questo e non la prima l’evento generatore del bisogno tutelato, sia in termini individuali che sociali”, posto che, come riconosciuto dalla Corte Cost., “oggetto della tutela dell’art.38 non è il rischio di infortuni o di malattia professionale, bensì questi eventi in quanto incidenti sulla capacità di lavoro e collegati da un nesso causale con attività tipicamente valutata dalla legge come meritevole di tutela” (n.100/1991).