Nell’ipotesi di licenziamento nullo, seguito da reintegrazione, va applicata la sanzione per omissione e non per evasione contributiva
Nota a Cass. 7 febbraio 2018, n. 2970
Giuseppe Catanzaro
In caso di licenziamento nullo, sono dovute le sanzioni civili da omissione contributiva – conseguenza della (ritenuta, dal datore di lavoro) legittimità del licenziamento – e non già da evasione contributiva, mancando quella che l’art. 116, co. 8, lett. b), L. 23 dicembre 2000, n. 388, qualifica come “intenzione specifica di non versare i contributi”.
In effetti, relativamente alle sanzioni previdenziali nell’ipotesi di reintegrazione del lavoratore per illegittimità del licenziamento, ex art. 18 L. 20 maggio 1970, n. 300 (anche prima delle modifiche introdotte dalla L. 28 giugno 2012, n. 92), bisogna distinguere fra nullità del licenziamento, che è oggetto di una sentenza dichiarativa, e l’annullabilità del licenziamento privo di giusta causa o giustificato motivo, che, invece, è oggetto di una sentenza costitutiva. Nella prima ipotesi, il datore di lavoro, oltre che ricostruire la posizione contributiva del lavoratore “ora per allora”, deve pagare le sanzioni civili per omissione (ex art. 116, co. 8, lett. a, L. n. 388/2000); diversamente, nel secondo caso, il datore di lavoro non è soggetto a tali sanzioni, in quanto si applica “la comune disciplina della ‘mora debendi’ nelle obbligazioni pecuniarie, fermo che, per il periodo successivo all’ordine di reintegra, sussiste l’obbligo di versare i contributi periodici, oltre al montante degli arretrati, sicché riprende vigore la disciplina ordinaria dell’omissione e dell’evasione contributiva” (Cass. SU 18 settembre 2014, n. 19665).
Lo ha sottolineato la Corte di Cassazione (7 febbraio 2018, n. 2970) in relazione ad un licenziamento ritenuto illegittimo e seguito da ordine di reintegra per il quale l’Inps, dopo la pronunzia giudiziale di annullamento del licenziamento, aveva intimato il pagamento di somme aggiuntive ed interessi di mora a causa del ritardato pagamento dei contributi relativi al periodo compreso fra lo stesso licenziamento ed il suo annullamento.
I giudici hanno cassato la sentenza di merito che aveva respinto l’opposizione alla cartella esattoriale contenente l’intimazione di pagamento di un importo per somme aggiuntive ed interessi di mora, solo per il fatto che il pagamento dei contributi era avvenuto dopo la sentenza di annullamento del licenziamento.
Come noto, la contribuzione previdenziale è commisurata a tutta la retribuzione spettante nel periodo dal licenziamento alla effettiva reintegrazione, a prescindere dalla misura del risarcimento liquidato per tale periodo (v. Cass. SU 5 luglio 2007, n. 15143). Egualmente, nell’ipotesi di transazione successiva alla pronunzia di reintegrazione la somma corrisposta transattivamente, comunque qualificata dalle parti, è ritenuta imponibile previdenziale fino a concorrenza della retribuzione relativa al periodo successivo al licenziamento, in quanto la transazione viene considerata non novativa (Cass. 7 marzo 2003, n. 3487).