I rimborsi delle spese di viaggio effettivamente sostenute dal medico specialista (dipendente) devono considerarsi, ma solo a determinate condizioni, alla stregua di un’indennità con funzione risarcitoria non soggetta ad IRPEF.
Nota a CTR Lombardia n. 43/20/2018
Francesco Palladino
Il rimborso delle spese di viaggio sostenute da un medico specialista che svolga la propria attività in qualità di lavoratore dipendente, per l’espletamento di un incarico presso ambulatori esterni al Comune di residenza, non è assoggettabile a IRPEF (e pertanto neppure a ritenute), laddove esso sia determinato non con criterio forfetario (e, dunque, sganciato dalle spese sostenute dal medico), ma sia parametro al chilometraggio effettivamente percorso ed al costo del carburante tempo per tempo rilevato.
Lo ha stabilito la Commissione tributaria regionale della Lombardia (n. 43/20/2018) secondo cui il rimborso in parola assume la veste di un’indennità che assolve alla concreta funzione di ripristinare il patrimonio del medico, depauperato dagli esborsi concretamente sostenuti nell’interesse dell’Amministrazione datrice di lavoro, e pertanto non è imponibile agli effetti dell’IRPEF.
In dettaglio, il medico convenzionato e specialista ambulatoriale, chiedeva all’Agenzia delle entrate il rimborso delle ritenute ai fini IRPEF operate dall’Amministrazione (datrice di lavoro), quale sostituto d’imposta, sulle somme corrispostegli a titolo di rimborso per le spese di viaggio sostenute nell’ambito del proprio operato. Non avendo fornito l’Agenzia delle Entrate alcuna risposta, il medico aveva dovuto adire le vie legali.
Prima la Commissione tributaria Provinciale, poi quella Regionale hanno confermato un orientamento giurisprudenziale di legittimità ormai costante (Cass. 2 aprile 2015, n. 6793 nonché Cass. 21 giugno 2002, n. 9107), ribadendo il principio di diritto secondo cui in tema di imposte sui redditi, non ogni somma corrisposta in dipendenza del rapporto di lavoro deve considerarsi di natura retributiva, e perciò assoggettabile, ai sensi dell’art. 51 TUIR, a IRPEF (e a ritenuta); devono, infatti, escludersi quelle aventi funzione risarcitoria.
Tale ultima ipotesi si verifica, in particolare, quando al dipendente vengano attribuiti incarichi che comportano spese superiori a quelle rientranti nella normalità della prestazione lavorativa, tali, quindi, da rendere l’incarico in questione depauperativo rispetto alla posizione dei dipendenti che percepiscono un’analoga retribuzione in relazione ad incombenze diverse. Ebbene, il rimborso di tali spese, essendo volto a risarcire il dipendente di un danno subito e non a corrispondergli un vero e proprio reddito, non ha natura retributiva, bensì risarcitoria e, quindi, non è assoggettabile ex se a tassazione.
È stata così ritenuta operare anche in questo caso la nota e fondamentale regola per cui costituiscono reddito, e sono quindi tassabili, tutte quelle somme che, sebbene dovute a titolo risarcitorio, hanno, invece, la funzione di ristorare un danno derivante dalla perdita di redditi. Opera ancora una volta il dettato del co. 2 dell’art. 6 TUIR, secondo cui:
- vanno inclusi nella base imponibile tutte le somme ed i proventi percepiti in sostituzione di un mancato guadagno e pertanto riconducibili nella categoria civilistica del lucro cessante;
- vanno escluse quelle percepite a titolo di reintegrazione di spese sostenute e quindi riconducibili nella categoria del danno emergente.
L’operatività di tale principio è stata ammessa dalla Corte di appello in virtù di un’ulteriore e concomitante ragione connessa al metodo utilizzato per la loro quantificazione. Nel caso concreto, i rimborsi spese erano stati determinati non con criteri forfettari, ma parametrati al chilometraggio percorso e al costo del carburante rilevato, secondo la specifica disciplina del “rimborso spese” di cui all’art. 35 del d.P.R. n. 271/2000. Per la Commissione, questo è un elemento dirimente, “non vi è dubbio che l’indennità [i.e. rimborso spese] assolva alla concreta funzione di ripristinare il patrimonio del medico depauperato degli esborsi effettivamente sostenuti nell’interesse dell’amministrazione datrice di lavoro, e ciò consente di differenziare l’emolumento di cui qui si tratta da altri tipi di emolumento forfettariamente liquidati”.
Si conferma una volta di più come nel settore della fiscalità del lavoro dipendente assuma preminente rilievo la necessità di distinguere se una somma sia erogata dal datore di lavoro per ristorare un danno emergente o per compensare un lucro cessante. Come dimostra la sentenza in esame, occorre guardare alle prove effettivamente addotte e sulla loro base qualificare la somma in un senso o nell’altro; solo così si potrà valutare la tassabilità o meno di quanto corrisposto.