Il reato d’interferenze illecite nella vita privata sussiste solo quando le immagini del terzo filmate mediante una telecamera, siano riprese all’interno di luoghi di privato domicilio o dimora.
Nota a Cass. Pen., Sez. V, 13 settembre 2017, n. 46428.
Michele Fiorella
La captazione, da parte di un soggetto terzo, di immagini relative alla vita privata, dispiegantisi in luoghi visibili dall’esterno che, pertanto, devono ritenersi assimilabili a quelle captate in luogo pubblico o aperto al pubblico, non integra il delitto di interferenza illecita nella vita privata.
È questo il principio di diritto affermato dalla Cassazione (13 settembre 2017, n. 46428), che ha confermato la pronuncia di assoluzione di alcuni funzionari comunali preposti alla manutenzione del cimitero, che avevano installato una telecamera all’interno di una scatola elettrica ubicata sul viale di accesso al sepolcreto, registrando immagini relative al passaggio del necroforo su detto viale, che consente l’accesso al suo ufficio personale. La ripresa fotografica o con videocamera da parte di terzi, afferma la Suprema Corte, «è da considerarsi lesiva della riservatezza della vita privata che si svolge nell’abitazione altrui o negli altri luoghi indicati dall’art. 614 c.p. ed integra, quindi, il reato d’interferenze illecite nella vita privata solo quando vengano ripresi comportamenti sottratti alla normale osservazione dall’esterno, essendo la tutela del domicilio limitata a ciò che si compie in luoghi di privata dimora in condizioni tali da renderlo tendenzialmente non visibile a terzi (Cass. pen., Sez. 2, n. 25363 del 15.05.2015, Belleri, Rv. 265044; Id.,Sez. 6, n. 40577 del 01.10.2008, Apparuti, Rv. 241213)».
In via di estrema sintesi, la fattispecie di interferenze illecite nella vita privata di cui all’art 615-bis c.p. punisce la captazione, da parte di un soggetto terzo, mediante strumenti di ripresa visiva o sonora, di immagini o notizie relative a segmenti di vita privata svolgentesi all’interno di luoghi di privato domicilio o dimora. Pienamente lecita risulta pertanto sia l’eventuale registrazione di colloqui o immagini di cui lo stesso autore è parte, sia di fatti che avvengono al di fuori dei luoghi tipizzati dalla fattispecie penale.
Il concetto di ‘privata dimora’ viene interpretato dalla giurisprudenza di legittimità in modo restrittivo, così da escludere il presidio penale in tutti quegli ambienti in cui il titolare, pur potendo vantare uno ius excludendi alios, non vanti anche un diritto alla riservatezza. Due sono sostanzialmente i criteri cui si fa ricorso: da un lato, quello della pubblica accessibilità dei luoghi, che di per sé esclude la riservatezza; dall’altro, quello dell’occasionalità o temporaneità della presenza nel luogo. In tema, costituiscono un significativo punto di approdo, le Sezioni Unite Prisco che, pronunciandosi in materia di intercettazioni, hanno sottolineato come la nozione di ‘domicilio’ accolta dal codice penale sottintenda «un particolare rapporto con il luogo in cui si svolge la vita privata, in modo da sottrarre la persona da ingerenze esterne, indipendentemente dalla sua presenza»; sulla base di tale principio esse hanno dunque negato che potesse attribuirsi la qualifica di ‘luogo di privata dimora’ al privè di un locale notturno, ad una toilette pubblica (v., ad es., Cass. pen., Sez. V, 3 marzo 2009, n. 11522, Fabro), all’abitacolo di un’autovettura (Cass. pen., Sez. V, 6 marzo 2009, n. 28251, Pagano), alle docce di una piscina comunale (Cass. pen., Sez. V, 15 maggio 2015, n. 28174, Capanna).
Più ampia è la lettura che comunemente viene fornita in relazione agli esercizi commerciali, ove si è considerato come di ‘privata dimora’ il luogo di lavoro aperto al pubblico, rispetto alle persone che (a differenza dei clienti) vi si trovano stabilmente per ragioni di lavoro, affermandosi che «commette il reato di interferenze illecite nella vita privata chi, attraverso la vetrina di un negozio, fotografi un commesso intento allo svolgimento della propria attività lavorativa» (così, Cass. pen., Sez. V, 5 dicembre 2006, n. 10444, Teli).
Allineandosi a tali principi, con la sentenza in commento la Corte di Cassazione conferma che la ripresa di immagini del viale cimiteriale che consente l’accesso alla porta dell’ufficio del necroforo, anche qualora consenta di ‘monitorare’ gli orari di presenza di quest’ultimo sul luogo di lavoro, non integra un’ipotesi di interferenza illecita nella vita privata, giacché ritraente fatti avvenuti in luogo aperto al pubblico.