Il licenziamento intimato dal curatore fallimentare, se dichiarato inefficace/illegittimo o nullo, dà luogo alle tutele di legge con diritto del lavoratore ad essere ammesso al passivo fallimentare per i crediti maturati in ragione della risoluzione illegittima.
Nota a Cass. 23 marzo 2018, n. 7308
Annarita Lardaro
In tema rapporto di lavoro pendente nel fallimento, sciolto (dal curatore) con modalità giudicate errate con sentenza passata in giudicato, vige il principio (valido per ogni datore di lavoro) secondo cui, nell’ipotesi di licenziamento illegittimo, sono riconosciuti al lavoratore i diritti retributivi, malgrado la non avvenuta prestazione, nonché il risarcimento del danno commisurato alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento a quello dell’effettiva reintegrazione (laddove si applichi la disciplina ex art. 18 Stat. Lav.).
È quanto ha statuito la Corte di Cassazione con sentenza 23 marzo 2018, n. 7308. Nel caso di specie, una lavoratrice, in conseguenza della dichiarazione di fallimento della società datrice di lavoro, non aveva più percepito le retribuzioni a lei spettanti; a distanza di un paio di anni dal fallimento, la curatela l’aveva licenziata. Successivamente, il recesso era stato dichiarato inefficace per violazione della L n. 223/1991, con conseguente diritto della lavoratrice a percepire tutte le retribuzioni maturate dalla data del fallimento.
Al momento di procedere all’ammissione al passivo fallimentare, la Corte d’Appello aveva, però, ritenuto che, in seguito alla dichiarazione di fallimento, il rapporto di lavoro fosse sospeso ai sensi dell’art. 72 della L fall. (RD 16 marzo 1942, n. 267) e che, pertanto, il licenziamento intimato dal curatore non desse luogo ad alcun credito da lavoro, mancando di fatto la prestazione.
Con riferimento alle sorti del rapporto di lavoro a seguito della declaratoria fallimentare, la Corte di Cassazione ha colto l’occasione per ribadire la sussistenza in tale ipotesi di due fondamentali principi: a) il fallimento non può determinare ex se lo scioglimento del rapporto di lavoro; b) in conseguenza della dichiarazione di fallimento, il rapporto di lavoro rimane sospeso in attesa che il curatore decida se proseguirlo o se scioglierlo nelle modalità previste dalla legge, verosimilmente mediante un licenziamento per giustificato motivo oggettivo o per impossibilità sopravvenuta o ancora, in ipotesi di presenza di più di cinque dipendenti applicati nell’unità produttiva, attraverso un licenziamento collettivo, come appunto sarebbe dovuto avvenire nel caso in esame.
Pertanto, non è legittimo da parte del curatore sciogliere il rapporto di lavoro con modalità atipiche, in quanto la necessità di tutelare gli interessi del fallimento non può superare le norme generali in tema di risoluzione dei rapporti di lavoro.
Da ciò consegue, dunque, che, in ipotesi di licenziamento illegittimo, si applicheranno le medesime conseguenze sanzionatorie derivanti dall’invalido recesso intimato dall’azienda, con esclusione della sola tutela reintegratoria in ipotesi di disgregazione aziendale.
In conclusione, la Corte ha accolto il ricorso presentato dalla lavoratrice, ritenendo illegittimo il licenziamento a lei comminato dal curatore fallimentare e riconoscendole la tutela risarcitoria prevista dall’art 18 dello Stat. Lav. ad ella applicabile ratione temporis.
La norma di riferimento. In base all’art. 72, co. 1, RD n. 267/1942 : “Se un contratto è ancora ineseguito o non compiutamente eseguito da entrambe le parti quando, nei confronti di una di esse, è dichiarato il fallimento, l’esecuzione del contratto, fatte salve le diverse disposizioni della presente Sezione, rimane sospesa fino a quando il curatore, con l’autorizzazione del comitato dei creditori, dichiara di subentrare nel contratto in luogo del fallito, assumendo tutti i relativi obblighi, ovvero di sciogliersi dal medesimo, salvo che, nei contratti ad effetti reali, sia già avvenuto il trasferimento del diritto.