In seguito alla visita sul dipendente assente per malattia, da parte del medico fiscale, il datore di lavoro va messo a conoscenza solo della prognosi e non della diagnosi.
Nota a Cass. 31 gennaio 2018, n. 2367
Maria Novella Bettini
La riservatezza imposta nella refertazione del medico fiscale esige che non debba essere annotata sulla copia per il datore di lavoro la diagnosi del paziente. Al riguardo, infatti, la legge prevede che: “al termine della visita, il medico consegna al lavoratore copia del referto di controllo, e entro il giorno successivo, trasmette alla sede dell’Istituto nazionale della previdenza sociale le altre tre copie destinate rispettivamente, la prima, senza indicazioni diagnostiche, al datore di lavoro o all’Istituto previdenziale che ha richiesto la visita, la seconda agli atti dell’Istituto nazionale della previdenza sociale, la terza per la liquidazione delle spettanze al medico e per assicurare un flusso periodico di informazioni sullo sviluppo del servizio e sulle relative risultanze” (D.M. 15 luglio 1986, art. 6).
Secondo poi le norme preposte alla tutela della riservatezza, con particolare riguardo ai dati sensibili (quali certamente sono quelli concernenti le condizioni di salute del dipendente malato), il datore di lavoro deve essere a conoscenza soltanto della conferma della prognosi da parte del medico fiscale; sicché, qualsiasi indicazione – anche concernente le visite specialistiche prescritte – dalla quale possa essere desunta la diagnosi, si deve considerare contrastante con la normativa sulla tutela della privacy (v. L. n. 675/1996 e D.LGS. n. 196/2003).
La rilevante precisazione è della Corte di Cassazione (31 gennaio 2018, n. 2367) relativa al caso di un insegnante che aveva ritenuto responsabile il medico fiscale dei danni subìti e causati dall’invio al Preside del locale Liceo Ginnasio Statale presso il quale insegnava (e dal quale si era assentato per malattia per 21 giorni) della copia del referto medico destinata al datore di lavoro in cui era stato riportato che il docente era “in attesa di consulenza psichiatrica”. Ne era conseguito l’isolamento del lavoratore determinato dal comportamento diffidente e persecutorio manifestato dai colleghi e dai parenti venuti a conoscenza dell’accertamento psichiatrico cui era stato sottoposto.
Per i giudici, il suddetto isolamento ed il danno non patrimoniale a ciò conseguente non sono ascrivibili alla annotazione effettuata dal medico fiscale, ma vanno collegati alla avvenuta divulgazione della richiesta di una visita collegiale psichiatrica da parte del Provveditorato, al quale il Preside della scuola aveva trasmesso il referto ricevuto. In altre parole, nel caso di specie, la divulgazione delle informazioni sensibili, dalla quale sarebbe derivato il danno dedotto, non è riconducibile alla condotta del medico fiscale, che si era limitato a trasmettere alla scuola presso la quale il dipendente prestava la propria opera “la copia del referto di competenza del datore di lavoro, sia pur corredato dalla annotazione contestata, ma alla diffusione della notizia dell’accertamento che l’amministrazione scolastica aveva ritenuto necessario espletare e dal comportamento della cerchia amicale e parentale che avrebbe deciso di allontanarsi da ricorrente”.