Il soggetto deputato alla vigilanza sulla sicurezza deve avere la qualifica formale di preposto ed essere qualificato.
Nota a Cass. 15 marzo 2018, n. 6410 ed a Cass. 28 marzo 2018, n. 14352
Francesca Albiniano
Il sistema di tutela della sicurezza nei luoghi di lavoro delineato dal D.LGS. n. 81/2008, contempla, quando il datore di lavoro sia titolare di un’attività aziendale complessa ed estesa, la possibilità di una distribuzione di responsabilità ripartita in via gerarchica tra il datore stesso, i dirigenti e preposti. “In particolare, la funzione di preposto è legata non alla qualifica formale rivestita dall’interessato, quanto al suo specifico addestramento alla funzione. Preposto può essere, perciò, anche il caposquadra, ma la sua qualifica formale è ininfluente sulla distribuzione del peso della responsabilità se non risulti che questi sia stato appositamente addestrato per responsabilità di sicurezza, abbia pertanto la necessaria qualificazione tecnica per lo svolgimento di tale incarico, e sia stato espressamente investito di siffatto ruolo”.
Tale è la precisazione della Corte di Cassazione (15 marzo 2018, n. 6410; nello stesso senso, v. Cass. n. 29323/2008) relativamente ad un caso di infortunio sul lavoro subìto dal prestatore nell’espletamento della sua attività di capo operaio tecnico presso un Comune.
Escluso che il lavoratore infortunato avesse tenuto una condotta imprudente tale da costituire una concausa dell’infortunio (il che avrebbe comportato una riduzione proporzionale della responsabilità del datore) ed esclusa l’evenienza di un comportamento dettato da abnormità ed esorbitanza rispetto al processo lavorativo, quale causa esclusiva dell’evento, che avrebbe scagionato completamente il Comune, la Corte ha affermato che “il fulcro del sistema di sicurezza sul lavoro è rappresentato dalla responsabilità datoriale”. Il datore di lavoro, infatti, anche qualora affidi al dipendente il compito di vigilare sull’osservanza delle norme antinfortunistiche “non è esonerato da responsabilità, fatta eccezione per l’ipotesi limite, di una condotta abnorme ed esorbitante tenuta dal lavoratore. Si tratta perciò di un obbligo contrattuale, del quale dottrina e giurisprudenza mettono altresì in risalto il carattere ‘bifronte’: verso lo Stato, responsabile del bene della salute dei lavoratori, indisponibile ex art. 32 Cost., e verso i singoli lavoratori”.
I giudici osservano, in conformità a quanto affermato dalla Corte territoriale, che il lavoratore, pur essendo inquadrato come capo operaio, non rivestiva la qualifica riservata dal D.LGS. n. 81/2008 (art. 2, co. 1, lett. b)) ai dirigenti, e non risultava che l’Ente lo avesse formalmente investito di una siffatta responsabilità all’interno del servizio in cui operava. Di conseguenza, spettava al Comune rispondere sia per l’inosservanza delle norme antinfortunistiche sia degli obblighi di attuazione di misure tecniche e organizzative adeguate, allo scopo di ridurre al minimo i rischi connessi all’uso delle attrezzature di lavoro.
Peraltro, anche se “l’Ente avesse inteso conferire al lavoratore, in virtù della sua posizione di capo operaio, uno specifico potere decisionale e di vigilanza sull’adempimento degli obblighi di sicurezza da parte degli altri operai – e seppure tale investitura avesse rivestito un crisma di ufficialità (ma ciò è stato escluso) – deve rilevarsi che neanche tale volontà potrebbe esentare il datore dalla specifica responsabilità dell’organizzazione dei processi lavorativi, della scelta e dell’acquisto delle dotazioni di lavoro e della loro distribuzione al personale, nonché della formazione dello stesso personale sulla materia della prevenzione degli infortuni”.
In ogni caso, poi, come osservato dalla Corte di Cassazione (28 marzo 2018, n. 14352, concernente la condanna di un direttore di cantiere edile, responsabile di omicidio colposo nei confronti di un operaio – investito dal crollo di una parete – per mancata applicazione dei dispositivi individualidi protezione e mancata fornitura di appropriate istruzioni),
l’individuazione del soggetto destinatario degli obblighi sanciti dalla normativa sulla sicurezza del lavoro deve tener conto:
a) della titolarità della posizione di garanzia per la sicurezza;
b) della eventuale delega di funzioni (ai sensi dell’art. 16, D.LGS. n. 81/2008, che (fermo restando, comunque, l’obbligo di vigilanza del datore di lavoro) dovrà essere espressa, chiara, certa (anche se la legge non prevede un obbligo di forma scritta, effettiva, appare necessario, al fine di escludere ogni responsabilità, dimostrare la delega stessa e le sue caratteristiche, per cui essa non potrà che risultare da atto scritto; peraltro, sempre a fini di certezza, l’art. 16, co. 1, lett. e) prevede che “la delega sia accettata dal delegato per iscritto”), qualificata (occorre cioè che investa un soggetto qualificato per professionalità ed esperienza, dotato dei relativi poteri di organizzazione, gestione, controllo e spesa), e definita (nel senso che deve riguardare un ambito ben definito di poteri e non l’intera gestione aziendale), fermo restando, comunque, l’obbligo per il datore di lavoro di vigilare e di controllare che il delegato usi correttamente la delega medesima secondo la prescrizione di legge;
c) della funzione esercitata in concreto, che prevale rispetto alla carica attribuita al soggetto, ossia alla sua funzione formale.
I giudici precisano, altresì, che la delega di funzioni, in quanto causa di esclusione di responsabilità, va dimostrata da chi l’allega (v. Cass. n. 39158/2013; Cass. n. 19642/2003) e che “la necessità di delega scritta è richiesta solo in campo amministrativo, in presenza di datore di lavoro ente pubblico, poiché sussiste l’esigenza di una formalizzazione dei rapporti giuridici all’esterno” (situazione tutt’affatto diversa dalla fattispecie esaminata, relativa a lavori affidati con contratto di appalto per conto dell’ANAS-impresa privata (v. anche Cass. n. 39268/2004).