Simulazione del rapporto di impresa familiare: prova a carico della parte che rivendica il rapporto di lavoro subordinato.
Nota a Cass. 14 marzo 2018, n. 6158
Daria Pietrocarlo
Grava sul ricorrente l’onere di provare la sussistenza del rapporto di lavoro subordinato nel periodo in cui l’attività lavorativa viene formalmente prestata in termini di impresa familiare.
È quanto affermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza 14 marzo 2018, n. 6158. In particolare, la ricorrente deduceva di essere stata assunta con inquadramento ultimo nel livello V del ccnl Metalmeccanici-Artigiani, ma che, successivamente, in seguito al matrimonio con il figlio della datrice di lavoro, il rapporto si era formalmente svolto in regime di impresa familiare. Agiva, pertanto, per sentire accertare il suo diritto all’inquadramento superiore nonché la simulazione del rapporto di impresa familiare.
Sia nel primo che nel secondo grado di giudizio, la domanda non veniva accolta in quanto, sulla base delle risultanze istruttorie, non erano emersi elementi atti ad accertare la simulazione del rapporto di impresa familiare, la cui prova cadeva a carico della parte attrice.
Peraltro, la lavoratrice non aveva dedotto alcun vizio del consenso in relazione alla sottoscrizione di due scritture, rispettivamente costitutiva e modificativa, dello stesso rapporto di impresa familiare.
D’altra parte, il fatto di aver continuato a svolgere la stessa attività lavorativa e con modalità analoghe, secondo i giudici di merito non provava la simulazione, perché anche nella impresa familiare il titolare può esercitare un potere di coordinamento e di organizzazione del lavoro dei partecipanti.
Inoltre, un fatto decisivo volto ad escludere la simulazione era costituito dal contenuto della lettera con la quale la lavoratrice stessa dichiarava di risolvere per giusta causa i rapporti in corso per il rifiuto da parte della titolare di liquidarle la quota della impresa familiare di sua spettanza.
Ebbene, pronunciandosi sulla questione, la Corte di Cassazione respingeva il ricorso, confermando la pronuncia impugnata e richiamando, in proposito, l’indirizzo seguito dalla prevalente giurisprudenza, secondo il quale “è a carico della parte attrice l’onere di provare la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato nel periodo in cui l’attività lavorativa era stata formalmente prestata in termini di impresa familiare, trattandosi del fatto costitutivo dei diritti azionati. L’accertamento del fatto negativo (la inesistenza della impresa familiare) non è che un diverso modo di presentarsi della stessa questione: accertata la sostanza del rapporto in termini di subordinazione, la inesistenza della impresa familiare conseguiva ex se dal carattere residuale dell’istituto senza necessità di un distinto accertamento (ed una specifica prova) della simulazione”.
La Corte di Cassazione, con la sentenza in commento, ha quindi avvalorato il principio di diritto che pone l’onere della prova a carico di chi allega la sussistenza del rapporto di lavoro subordinato e che individua nel nomen iuris attribuito dalle parti al contratto uno degli indici di qualificazione.
In merito alla continuazione del rapporto con modalità analoghe a quelle osservate in costanza del precedente rapporto di lavoro subordinato, la Cassazione, conformandosi a quanto già statuito dal Giudice d’appello, non ha ritenuto detto fatto decisivo, potendo trovare giustificazione nel potere del titolare della impresa familiare di coordinamento e organizzazione del lavoro degli altri familiari coadiuvanti e non già nel potere di supremazia gerarchica, che peraltro la sentenza di merito non ha riconosciuto al titolare della impresa familiare.
Viceversa, la Corte ha attribuito rilevanza decisiva al fatto che la ricorrente abbia risolto i suoi rapporti con la titolare a seguito ed in ragione del rifiuto da parte di quest’ultima di liquidarle la quota reclamata all’atto dello scioglimento della impresa familiare, ritenendo con ciò dimostrato come il rapporto si sia effettivamente svolto con le modalità concordate in contratto.
Di contro, sempre con particolare riferimento allo svilupparsi dell’onere della prova nell’ambito della concreta vicenda processuale, la Corte ha considerato non decisivi i fatti allegati dalla lavoratrice a sostegno della esistenza di un rapporto di lavoro subordinato (la mancata partecipazione alla gestione della impresa familiare ed agli utili, la mancata trasmissione del rendiconto annuale, anche ai fini degli adempimenti fiscali), potendo semmai detti elementi essere configurati come meri inadempimenti della titolare della impresa familiare, cui la lavoratrice avrebbe potuto comunque agire legalmente per denunziarne l’inosservanza.
In conclusione, la Corte di Cassazione ha correttamente valorizzato la centralità della prova nella domanda volta a dimostrare la simulazione del rapporto di impresa familiare, ponendola esclusivamente a carico di chi rivendica la natura subordinata del rapporto stesso.
In tema di lavoro in ambito familiare, v., in questo sito, Cass. 27 febbraio 2018, n. 4535, con nota di D. Pietrocarlo, Lavoro in ambito familiare: riconoscimento della natura subordinata del rapporto.