Il dipendente in regime di “part-time” ha diritto alla medesima retribuzione oraria del collega a tempo pieno di pari livello.
Nota a Cass. 11 aprile 2018. n. 8966
Annarita Lardaro
Il lavoratore a tempo parziale non può ricevere un trattamento retributivo inferiore a quanto riconosciuto al dipendente a tempo pieno comparabile, intendendosi per tale quello con pari inquadramento contrattuale. Pertanto, è illegittimo, in quanto contrario alle norme comunitarie (così come recepite dal legislatore italiano), il comportamento del datore di lavoro che applichi al dipendente part-time un divisore orario sfavorevole rispetto a quello dei corrispondenti lavoratori full time, con conseguente diritto del lavoratore di ricevere le differenze retributive.
È quanto ha ribadito la Corte di Cassazione, con sentenza n. 8966 dell’11 aprile 2018, in linea con il proprio consolidato orientamento giurisprudenziale.
Nel caso sottoposto all’attenzione della Suprema Corte, una dipendente aveva adito il Giudice, chiedendo la condanna del datore di lavoro al pagamento in suo favore delle differenze retributive maturate rispetto ai colleghi a tempo pieno, asserendo che questi ultimi godevano di una paga oraria superiore. Il datore di lavoro si difendeva sostenendo che i lavoratori a tempo pieno alle sue dipendenze non potevano essere presi come termine di paragone poiché, a differenza della collega in regime di part-time, svolgevano turni continui ed avvicendati.
La Cassazione, investita della questione, ha respinto le doglianze del datore di lavoro, affermando che soltanto il livello di inquadramento può giustificare differenze nella retribuzione tra lavoratori a tempo pieno e lavoratori a tempo parziale. Ne consegue che “non possono valere criteri alternativi di comparazione (così ad esempio quello inerente le caratteristiche dell’avvicendamento dei turni in cui sono impegnati i dipendenti a tempo pieno)”.
Quanto al divisore orario su tutte le voci di stipendio, meno favorevole rispetto ai colleghi a tempo pieno, ai quali tale divisore veniva applicato solo per le voci di straordinario ed altre indennità, ad avviso dei giudici, “tale metodo di calcolo non contribuisce di certo al pieno rispetto del principio di non discriminazione” (per un approfondimento riguardante il calcolo della retribuzione in regime di part-time si rinvia a S. ROSSI, “Part time verticale e calcolo della retribuzione”, nota a Cass. n. 19269 del 2 agosto 2017, in questo sito).
In punto di diritto, all’epoca dei fatti oggetto del gravame il quadro normativo di riferimento era quello contenuto nell’art. 4 del D.LGS. 61/2000, originariamente deputato a disciplinare il contratto part-time, poi abrogato e riscritto ad opera del D.LGS. 81/2015.
Nel dettaglio, l’art. 4, in attuazione della normativa comunitaria (Direttiva europea 97/81/CE), statuiva che “il lavoratore a tempo parziale beneficia dei medesimi diritti di un lavoratore a tempo pieno comparabile per quanto riguarda l’importo della retribuzione oraria”. Sempre l’art. 4, al co. 1. affermava che il lavoratore comparabile doveva intendersi quello “inquadrato nello stesso livello in forza dei criteri di classificazione stabiliti dai contratti collettivi”.
Con la sentenza in commento, la Cassazione ha chiarito i confini di un principio, quello di non discriminazione, fondamentale nell’impianto del contratto part-time che si ritiene, secondo un’interpretazione prudenzialmente estensiva, applicabile anche ai rapporti governati dalla nuova normativa ex D.LGS. n. 81/2015.