La concessione della tutela reintegratoria è accordata solo quando si accerti la manifesta insussistenza del fatto posto alla base del licenziamento.
Nota a Cass. 19 gennaio 2018, n. 1373
Francesca Albiniano
Nell’ipotesi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo (cioè, non per colpa del lavoratore, ma per motivi economici) intimato ad un lavoratore destinatario di un’interdittiva antimafia improduttiva di effetti (perché caducata a seguito di sentenza del giudice amministrativo, in quanto “tempestivamente ritenuto illegittimo” dall’azienda stessa che aveva impugnato il provvedimento dinanzi al suddetto giudice) si applica la disciplina di cui all’art. 18, co.5, Stat. Lav., secondo la quale il rapporto è dichiarato risolto “con effetto dalla data del licenziamento” ed il datore di lavoro è condannato “al pagamento di un’indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata tra un minimo di dodici e un massimo di ventiquattro mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, in relazione all’anzianità del lavoratore e tenuto conto del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell’attività economica, del comportamento e delle condizioni delle parti, con onere di specifica motivazione a tale riguardo”. Il giudice , inoltre, “ai fini della determinazione dell’indennità tra il minimo e il massimo previsti, tiene conto, oltre ai criteri di cui al quinto comma, delle iniziative assunte dal lavoratore per la ricerca di una nuova occupazione e del comportamento delle parti nell’ambito della procedura di cui all’articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni…”(art. 18, co.7, Stat. Lav.).
Il principio è espresso dalla Corte di Cassazione 19 gennaio 2018, n. 1373, la quale osserva come la c.d. riforma Fornero (L. 28 giugno 2012, n. 92, applicabile ai lavoratori assunti prima del 7 marzo 2015) articoli le diverse tutele in caso di licenziamento illegittimo, prevedendo, accanto alla tutela meramente indennitaria di cui al citato co.5, per la quale il giudice dichiara risolto il rapporto di lavoro, una tutela reintegratoria definita “attenuata”, contenuta nell’art. 18, co. 4 – diversa da quella c.d. forte di cui al co.1 e non applicabile alla fattispecie esaminata dal Collegio -, in base alla quale il giudice annulla il licenziamento per giustificato motivo oggettivo in ragione della manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento stesso e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione del lavoratore ed al pagamento di una indennità risarcitoria dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, in misura comunque non superiore a 12 mensilità (art. 18, co.4, Stat. Lav., come mod. dalla L. n. 92/2012).
La Corte puntualizza che, dal momento che “il giudice ‘può’ attribuire la cd. tutela reintegratoria attenuata, tra tutte le ‘ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi’ del giustificato motivo oggettivo, esclusivamente nel caso in cui il ‘fatto posto a base del licenziamento’ non solo non sussista, ma anche a condizione che detta ‘insussistenza sia ‘manifesta, non pare dubitabile che l’intenzione del legislatore, pur tradottasi in un incerto testo normativo, sia quella di riservare il ripristino del rapporto di lavoro ad ipotesi residuali che fungono da eccezione alla regola della tutela indennitaria in materia di licenziamento individuale per motivi economici”.
Nella fattispecie, come accennato, il dipendente era stato licenziato a seguito di un’interdittiva prefettizia che aveva evidenziato il pericolo di infiltrazioni mafiose nell’azienda in ragione della presenza di lavoratori vicini ad esponenti dei locali clan mafiosi. Tale provvedimento – risultato improduttivo di effetti, perché caducato a seguito di sentenza del giudice amministrativo, in quanto “tempestivamente ritenuto illegittimo” dall’azienda stessa che aveva impugnato il provvedimento dinanzi al suddetto giudice -, per l’azienda aveva causato una trasformazione dell’organizzazione dell’impresa al fine precipuo di evitare la perdita di commesse.
Il recesso, tuttavia, è stato ritenuto illegittimo in quanto la società non aveva dimostrato le ragioni che rendevano intollerabile attendere la rimozione dell’impedimento (provvedimento interdittivo) alle normali funzioni del lavoratore, impedimento che poteva (com’è stato) avere una durata temporanea. Per i giudici, pertanto, in tal caso, non si delinea una insussistenza del fatto, ma si configurano soltanto motivi sussumibili nell’alveo, di portata generale, dell’art. 18, co. 5, per il quale è sufficiente che “non ricorrano gli estremi del predetto giustificato motivo” oggettivo.
(v., in questo sito, Cass. 20 ottobre 2017, n. 24882 e 27 ottobre 2017, n. 25649, annotate da A. LARDARO, I requisiti di legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo; App. Roma 20 dicembre 2017, commentata da M.N., BETTINI, Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo).