Il giudice può compensare le spese anche per gravi ed eccezionali ragioni
Nota a Corte Cost. 19 aprile 2018, n. 77
Paolo Pizzuti
La possibilità di compensazione delle spese legali è stata estesa anche all’ipotesi di “gravi ed eccezionali ragioni” dalla Corte Costituzionale (19 aprile 2018, n. 77, su ricorso del Tribunale di Torino e di quello di Reggio Emilia, rispettivamente, 30 gennaio 2016 e 28 febbraio 2017, iscritte al n. 132/2016 e al n. 86/2017 del registro ordinanze) che ha parzialmente accolto l’eccezione di illegittimità costituzionale dell’art. 92 c.p.c., secondo cui il magistrato non poteva esonerare dal pagamento delle spese legali della controparte il lavoratore che perdeva la causa “incolpevolmente”; con la conseguenza di scoraggiare il contenzioso del lavoro a causa della remora del prestatore ad agire o resistere in giudizio per il “rischio” di ingenti spese in assenza della certezza di vincere la causa.
Come noto, la possibilità di “compensare le spese” era circoscritta, oltre che all’ipotesi in cui entrambe le parti avessero parzialmente torto (“soccombenza reciproca”), alle ipotesi meno frequenti di “novità della questione” (“riconducibile, più in generale, ad una situazione di oggettiva e marcata incertezza, non orientata dalla giurisprudenza”) o “contrasto di giurisprudenza” (ovverosia mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti, “connotata dal fatto che, in sostanza, risulta modificato, in corso di causa, il quadro di riferimento della controversia”).
Oggi, invece, la Corte [pur osservando che la qualità di “lavoratore” della parte che agisce (o resiste) nel giudizio avente ad oggetto diritti ed obblighi nascenti dal rapporto di lavoro, non costituisce, di per sé sola, ragione sufficiente – pur nell’ottica della tendenziale rimozione degli ostacoli di ordine economico e sociale alla tutela giurisdizionale (art. 3, 2° co., Cost.) − per derogare al generale canone di par condicio processuale quanto all’obbligo di rifusione delle spese processuali a carico della parte interamente soccombente”] rileva come in molti casi il lavoratore deve “promuovere un giudizio senza poter conoscere elementi di fatto, rilevanti e decisivi, che sono nella disponibilità del solo datore di lavoro (cosiddetto contenzioso a controprova)”.
Questo elemento potrà ora essere valutato dal giudice sotto il profilo delle gravi ed eccezionali ragioni che gli consentono di compensare le spese. Ciò, posto che “l’istituto della condanna del soccombente al pagamento delle spese di giudizio, pur avendo carattere generale, non ha portata assoluta ed inderogabile, potendosene profilare la derogabilità sia su iniziativa del giudice del singolo processo, quando ricorrano giusti motivi ex art. 92, secondo comma, cod. proc. civ., sia per previsione di legge − con riguardo al tipo di procedimento − in presenza di elementi che giustifichino la diversificazione dalla regola generale” (v. anche Corte Cost. ord. n. 117/1999).
In sintesi, pertanto, la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 92, co., c.p.c. (come mod. dall’art. 13, co. 1, D.L. 12 settembre 2014, n. 132, convertito, con mod., nella L.10 novembre 2014, n. 162) “nella parte in cui non prevede che il giudice possa compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero, anche qualora sussistano altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni”.
Il testo vigente dell’art. 92 c.p.c. (Condanna alle spese per singoli atti. Compensazione delle spese) è il seguente:
“1. Il giudice, nel pronunciare la condanna di cui all’articolo precedente, può escludere la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice (v. ora Corte Cost. n. 77/2018), se le ritiene eccessive o superflue; e può, indipendentemente dalla soccombenza, condannare una parte al rimborso delle spese, anche non ripetibili, che, per trasgressione al dovere di cui all’articolo 88, essa ha causato all’altra parte.
2. Se vi è soccombenza reciproca ovvero nel caso di assoluta novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti, il giudice può compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero.
3. Se le parti si sono conciliate, le spese si intendono compensate, salvo che le parti stesse abbiano diversamente convenuto nel processo verbale di conciliazione”.