Il licenziamento per motivi discriminatori legati a limiti di statura o di lingua è illegittimo
Nota a Cass. 14 dicembre 2017, n. 30083 e Trib. Milano 1 febbraio 2018
Mariapaola Boni
Il tema della discriminazione sul lavoro continua ad essere oggetto di interessanti pronunzie di legittimità e di merito.
Così, la Corte di Cassazione 14 dicembre 2017, n. 30083, accoglie il ricorso di una lavoratrice esclusa da una selezione concorsuale in ragione della bassa statura, poiché il requisito di un’altezza minima era ritenuto “a presidio di esigenze di sicurezza”, ed afferma che la previsione di un limite staturale differenziato tra uomini e donne integra un comportamento discriminatorio.
Tale principio è in linea con la sentenza della Corte di Giustizia UE 18 ottobre 2017, C-409/16, (in ADL, 2018, 295, annotata da F. MALZANI, La statura come requisito concorsuale. L’ennesimo caso di discriminazione indiretta fondata sul sesso), secondo cui “le disposizioni della direttiva 76/207/CEE, relativa all’attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro, vanno interpretate nel senso che ostano alla normativa di uno Stato membro che subordina l’ammissione dei candidati al concorso per l’arruolamento alla scuola di polizia di detto Stato membro, indipendentemente dal sesso di appartenenza, a un requisito di statura minima di m. 1,70, ove tale normativa svantaggi un numero molto più elevato di persone di sesso femminile rispetto alle persone di sesso maschile e non risulti idonea e necessaria per conseguire il legittimo obiettivo che essa persegue”.
Inoltre, è stato considerato illegittimo, il recesso nei confronti di un lavoratore, di origine africana, dipendente di un’azienda cinese, licenziato per giustificato motivo oggettivo per asseriti problemi linguistici legati al fatto che tutti i colleghi erano di lingua cinese. Il Tribunale di Milano, ord., 1 febbraio 2018 ha ritenuto il recesso nullo, non avendo la società allegato ragioni che escludessero la discriminazione o tali da comprovare la sussistenza di una reale esigenza organizzativa. In particolare, la conoscenza della lingua cinese non è stata considerata essenziale dal giudice per lo svolgimento della prestazione.
In materia di parità di trattamento e divieto delle discriminazioni dirette ed indirette sul lavoro, v. l’art. 15, Stat. Lav.; l’art. 3, D.LGS. n. 215/2003; l’art. 3, L. n. 108/1990 (licenziamento discriminatorio); gli artt. 43 e 44, D.LGS. n. 286/1998; ed il D.LGS. n. 198/2006 (Codice delle pari opportunità tra uomo e donna, a norma dell’articolo 6 della legge 28 novembre 2005, n. 246).
In base poi all’art. 40, D.LGS. n. 198/2006: “1. Quando il ricorrente fornisce elementi di fatto, desunti anche da dati di carattere statistico relativi alle assunzioni, ai regimi retributivi, all’assegnazione di mansioni e qualifiche, ai trasferimenti, alla progressione in carriera ed ai licenziamenti, idonei a fondare, in termini precisi e concordanti, la presunzione dell’esistenza di atti, patti o comportamenti discriminatori in ragione del sesso, spetta al convenuto l’onere della prova sull’insussistenza della discriminazione”.
Al riguardo, la Corte di Cassazione (n. 15435/2016) ha dichiarato nullo, in quanto discriminatorio, il licenziamento disposto nei confronti di una lavoratrice madre (trasferita a 150 km dalla sede di appartenenza tre giorni dopo l’inoperatività del divieto previsto dall’articolo 56, D.LGS. n.151/2001 e in assenza di reali ragioni di carattere tecnico, produttivo e organizzativo). I giudici hanno infatti accertato come gli elementi fattuali emersi nel giudizio fossero «idonei a fondare, in termini precisi e concordanti, la presunzione di atti, patti o comportamenti discriminatori», con la conseguenza che, secondo le previsioni contenute all’art. 40, D.LGS. n. 198/2006, sarebbe spettato al datore di lavoro provare l’insussistenza della discriminazione. Sicché, il mancato assolvimento di tale onere probatorio gravante sull’azienda ha comportato l’accoglimento del ricorso promosso dalla dipendente.
In tema, v., in questo sito, sub Indirizzi Operativi, P.P., Licenziamento discriminatorio e ritorsivo.