La giusta causa di licenziamento si fonda su una grave lesione della fiducia del datore di lavoro nel proprio dipendente, mentre la giustificatezza nasce dal contrasto con i doveri di diligenza, lealtà e correttezza verso l’azienda.

Nota a Cass. 15 marzo 2018, n. 6426

Fabio Iacobone

La giustificatezza del licenziamento del dirigente deve basarsi su una motivazione coerente e su ragioni apprezzabili sul piano del diritto.

Tuttavia “non è necessaria un’analitica verifica di specifiche condizioni, ma è sufficiente una valutazione globale, che escluda l’arbitrarietà del recesso, in quanto intimato con riferimento a circostanze idonee a turbare il rapporto fiduciario con il datore di lavoro, nel cui ambito rientra l’ampiezza di poteri attribuiti al dirigente” (v. Cass. 17 marzo 2014, n. 6110).

Tali ragioni “non devono necessariamente coincidere con l’impossibilità della continuazione del rapporto o con una situazione di crisi tale da renderla particolarmente onerosa, dato che il principio di correttezza e buona fede, che costituisce il parametro su cui misurare la legittimità del licenziamento, deve essere coordinato con la libertà di iniziativa economica, garantita dall’art. 41 Cost. (v. Cass. 8 marzo 2012, n. 3628 e Cass. 20 giugno 2016, n. 12668)”.

La rilevante precisazione è della Corte di Cassazione (15 marzo 2018, n. 6426), la quale differenzia la giustificatezza dalla giusta causa di licenziamento. Quest’ultima, infatti, consiste in un “fatto che, valutato in concreto (e pertanto in relazione sia alla sua oggettività, sia alle sue connotazioni soggettive), determini una grave lesione della fiducia del datore di lavoro nel proprio dipendente, tale da non consentire la prosecuzione neppure temporanea del rapporto, tenuto conto altresì della natura di quest’ultimo e del grado di fiducia che esso postula”.

Invece, la giustificatezza dell’atto risolutivo va correlata alla sussistenza di ragioni valide ed apprezzabili sotto il profilo del contrasto con i doveri di diligenza, lealtà e correttezza verso il datore di lavoro e tali da esonerare il datore di lavoro “dall’obbligo di pagare l’indennità supplementare prevista dalla contrattazione collettiva, ma non anche dall’indennità sostitutiva del preavviso, al contrario della giusta causa (Cass. 1 giugno 2005, n. 11691; Cass. 10 aprile 2012, n. 5671)”.

Nella fattispecie, il dirigente era stato licenziato poiché aveva autorizzato o comunque permesso ai magazzinieri della propria filiale di lavorare il sabato mattina senza timbrare la cartolina oraria e percependo dagli autisti dei fornitori pagamenti non dovuti. Il dirigente non aveva interrotto una prassi avviata dal precedente responsabile nonostante una circolare dell’amministratore delegato che chiedeva di formalizzare la prassi di apertura della filiale anche il sabato mattina e di riconoscere l’eventuale straordinario forfetizzato.

 

Giustificatezza del licenziamento
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