È irrilevante l’affissione del codice disciplinare se l’inadempimento riguarda la violazione di obblighi discendenti “direttamente” dal rapporto di lavoro.
Nota a Cass. 10 aprile 2018, n. 8851 e 6 aprile 2018, n. 8560
Francesca Altieri
L’onere di pubblicità del codice disciplinare, previsto dall’ art. 7, co. 1, Stat. Lav., si applica al licenziamento soltanto nei limiti in cui il recesso sia stato intimato per una delle specifiche ipotesi di comportamento illecito vietate e sanzionate con il provvedimento espulsivo da norme della contrattazione collettiva o da quelle validamente poste dal datore di lavoro e non quando quest’ultimo contesti un comportamento che integri una violazione di una norma penale, o sia manifestamente contrario all’etica comune, ovvero concreti un grave o comunque notevole inadempimento dei doveri fondamentali connessi al rapporto di lavoro, quali sono gli obblighi di diligenza e di fedeltà prescritti dagli artt. 2104 e 2105 c.c., poiché in tali casi il potere di licenziamento deriva direttamente dalla legge.
Lo ha stabilito la Cassazione (10 aprile 2018, n. 8851), la quale, conformemente ai precedenti gradi di giudizio, ha ritenuto legittimo il licenziamento di un dipendente, seppur in assenza di previa affissione del codice disciplinare.
Nella specie, le contestazioni disciplinari, a fondamento del recesso, concernevano la violazione di obblighi direttamente discendenti dal rapporto di lavoro, quali: “l’assenza ingiustificata e la negligenza nella produzione tale da rendere inutilizzabili i prodotti”.
Per i giudici, in tali ipotesi non sussiste un dovere di pubblicità del codice disciplinare, in quanto “il lavoratore non poteva non essere a conoscenza della contrarietà delle condotte con le obbligazioni assunte al momento della stipula del contratto di lavoro.”
Tale principio di diritto si pone in linea con un’ulteriore pronuncia della Corte (Cass. 6 aprile 2018, n. 8560), in cui i giudici di legittimità hanno ritenuto che: qualora le condotte contestate siano contrarie a doveri fondamentali del lavoratore, rientranti nel cd. minimo etico o di rilevanza penale – la cui gravità sia platealmente accettata, in quanto in contrasto con quel nucleo di valori e comportamenti afferenti ad un comune sentire e ad un sistema di rispettosa convivenza civile – “non è necessario far riferimento alle violazioni contenute nel codice disciplinare ed alla pubblicità delle stesse attraverso l’affissione”.
Al contrario, se le violazioni contestate riguardano “norme di azione derivanti da direttive aziendali, suscettibili di mutare nel tempo, in relazione a contingenze economiche e di mercato ed al grado di elasticità nell’applicazione”,…. “le condotte devono essere previamente poste a conoscenza dei lavoratori, secondo le prescrizioni dell’art. 7 Stat. Lav.”
Del medesimo avviso è anche Cass. 9 gennaio 2018, n. 279, in questo sito, con nota di P. PIZZUTI, Sanzioni disciplinari conservative e condotte contrarie al c.d. “minimo etico”, che rileva come sia “esteso alle sanzioni disciplinari conservative (oltre che al licenziamento) il principio secondo il quale in tutti i casi nei quali la condotta sanzionabile sia immediatamente percepibile dal lavoratore come illecito, perché contraria al c.d. minimo etico o a norme di rilevanza penale, non è necessario prevederla nel codice disciplinare affisso in azienda.”