L’insussistenza di un addebito disciplinare, contestato insieme ad una recidiva, comporta la necessaria illegittimità del recesso.

Cass., Ord., 17 maggio 2018, n. 12095

Paolo Pizzuti

La recidiva consiste nella ripetizione, all’interno dell’arco cronologico di due anni, di un comportamento disciplinarmente rilevante tenuto dal lavoratore e regolarmente contestato dal datore (art. 7 Stat. Lav.). Il verificarsi di tale ripetizione funziona come un’aggravante per la condotta del lavoratore che, conseguentemente, riceverà una sanzione di intensità superiore a quella prevista per il fatto commesso.

Di recente, la Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 12095 del 17 maggio 2018, è intervenuta sul tema, chiarendo alcuni interessanti aspetti dell’argomento.

Il caso preso in esame dalla Corte Suprema riguarda un licenziamento per giustificato motivo soggettivo nel quale al lavoratore assente per un permesso di breve durata veniva contestata l’assenza ingiustificata, nonché la recidiva per due sospensioni disciplinari precedenti, sempre motivate da assenza ingiustificata.

La Corte, applicando correttamente il ccnl Metalmeccanici, ha chiarito che soltanto le assenze ordinarie devono essere giustificate nel termine previsto dal contratto collettivo (al massimo entro il giorno successivo a quello dell’assenza), mentre per i permessi brevi la valutazione circa la ragione della richiesta e la compatibilità con le esigenze del servizio viene effettuata dal datore di lavoro in via preventiva. Nel caso di specie veniva dunque esclusa la rilevanza disciplinare del fatto, poiché l’assenza non necessitava di una giustificazione successiva, con la conseguente reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro.

Inoltre, la Corte ha precisato che la recidiva, da sola, non può essere considerata come una valida e autonoma causa di recesso. Per poter effettuare il licenziamento, infatti, è necessario che venga contestato un fatto nuovo e che esso risulti sussistente e dotato di rilevanza disciplinare. In altre parole, la recidiva presuppone una nuova infrazione da parte del lavoratore che si vada ad aggiungere alle infrazioni precedenti, aggravando così la sua condotta complessiva. Pertanto, una volta accertata l’insussistenza dell’ultimo addebito contestato, come è avvenuto nel caso in esame, deve essere esclusa la possibilità di configurare la recidiva quale autonoma ragione del licenziamento. Anche perché con riferimento alle precedenti infrazioni il datore di lavoro ha già validamente esercitato il potere disciplinare nei confronti del lavoratore e non può esercitarlo una seconda volta per quegli stessi fatti in quanto ormai consumato.

Licenziamento: la recidiva da sola non basta
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