Il reiterato e abusivo ricorso al contratto di lavoro a tempo determinato può configurare l’intento elusivo da parte della società datrice delle regole dettate in tema di apposizione del termine al contratto di arruolamento con frode in danno dei lavoratori.
Nota a Cass. 16 maggio 2018, n. 11997
Flavia Durval
Le disposizioni del codice della navigazione che regolano la stipulazione di contratti di arruolamento a termine, a viaggio e a tempo indeterminato, assumono un particolare rilievo con riferimento al numero dei contratti stipulati ed al possibile intento fraudolento in merito alla frequenza e reiterazione dei contratti a termine stipulati tra le parti.
Al riguardo, la Corte di Cassazione (16 maggio 2018, n. 11997), in esito all’accurata ricostruzione delle previsioni limitative del ricorso al contratto di arruolamento a tempo determinato contenute nel codice della navigazione, non esclude che sia possibile provare il carattere frodatorio di eventuali plurime relazioni negoziali a termine.
Come noto, in base all’art. 325, co.1, del codice della navigazione (c.n.), il contratto di arruolamento può essere stipulato per un dato viaggio o per più viaggi (lett. a), a tempo determinato (lett. b), o a tempo indeterminato (lett. c). Inoltre (co. 3), per viaggio si intende “il complesso delle traversate fra porto di caricazione e porto di ultima destinazione, oltre all’eventuale traversata in zavorra per raggiungere il porto di caricazione”.
Ai sensi poi dell’art. 326, co.1, c.n., il contratto a tempo determinato e quello per più viaggi “non possono essere stipulati per una durata superiore ad un anno” e “se sono stipulati per una durata superiore, si considerano a tempo indeterminato”. Allo stesso modo, “se, in forza di più contratti a viaggio, o di più contratti a tempo determinato, ovvero di più contratti dell’uno e dell’altro tipo, l’arruolato presta ininterrottamente servizio alle dipendenze dello stesso armatore per un tempo superiore ad un anno, il rapporto di arruolamento è regolato dalle norme concernenti il contratto a tempo indeterminato” (art. 326, co.2, c.n.). La prestazione si considera ininterrotta quando tra “la cessazione di un contratto e la stipulazione del contratto successivo intercorre un periodo non superiore ai sessanta giorni” (art. 326, co.3).
Le disposizioni contenute nell’art. 326 c.n. possono essere derogate dai ccnl, “ma non possono essere derogate dal contratto individuale se non a favore dell’arruolato”(art. 374 c.n.). Tuttavia, neppure mediante ccnl è possibile aumentare il termine previsto dal co. 1 dell’art. 326 (durata massima di un anno del contratto a termine) e dal co.2 della stessa norma (prestazione ininterrotta superiore all’anno, per lo stesso armatore, in virtù di più contratti a termine), né si può diminuire il termine previsto dal co. 3, dello stesso articolo (massimo 60 giorni fra cessazione di un contratto e stipulazione del contratto successivo) (art. 374, ult. co.).
In altri termini, dunque, è preclusa alle norme collettive la possibilità di aumentare il termine di durata del contratto e di diminuire l’intervallo tra un contratto e l’altro.
Il contratto di arruolamento deve poi enunciare “il viaggio o i viaggi da compiere e il giorno in cui l’arruolato deve assumere servizio, se l’arruolamento è a viaggio; la decorrenza e la durata del contratto, se l’arruolamento è a tempo determinato; la decorrenza del contratto, se l’arruolamento è a tempo indeterminato” (art. 332, co.1, n. 4 c.n.). Se dal contratto o dall’annotazione sul ruolo di equipaggio o sulla licenza l’arruolamento non risulta stipulato a viaggio o a tempo determinato, esso è regolato dalle norme concernenti il contratto a tempo indeterminato (art. 332, co.2, c.n.).
Come si vede, in base all’art. 332, co. 1, n. 4, c.n., in caso di arruolamento a tempo determinato, va indicata la decorrenza e la durata del rapporto, ma non anche l’esatta data di scadenza del contratto stesso. Sicché, secondo la Corte, una durata indicata con la formula “max 78 giorni”:
– non viola la richiamata norma del codice della navigazione. Ciò, in quanto con tale formula il lavoratore non è “perciò solo, posto nella condizione di non potere regolare il proprio futuro lavorativo”;
– e non contrasta con I’ accordo quadro sul lavoro a tempo determinato recepito dalla Direttiva 1999/70/CE ed, in particolare, con la clausola 2, punto 1 e con la clausola 3, punto 1 (v. Cass. n. 4348/2015 e Cass. n. 59/2015), poiché la previsione di una durata del contratto con l’indicazione di un termine finale certo nell’an (massimo 78 giorni), ma incerto in ordine al quando è stata ritenuta compatibile con la citata Direttiva (v. in tal senso anche la sentenza 3 luglio 2014 della CGUE, capo 2).
Inoltre, il contratto di arruolamento (pur a fronte dell’applicabilità anche al lavoro nautico dell’accordo quadro allegato alla citata Direttiva 1999/70/CE) non è regolato dalla disciplina ordinaria sul contratto a tempo determinato (D.LGS. n. 368/2001, applicabile alla fattispecie ratione temporis, e poi ridisciplinato dal D.LGS. n. 81/2015 – art. 19 ss.) (cfr., in termini, Cass. nn. 4348/2015 e 59/2015, cit.).
Ciò, poiché “la disciplina del lavoro nautico costituisce un subsistema incentrato sul principio di specialità di cui all’art. 1 c.n., che regola le fonti del diritto della navigazione. In tale settore l’operatività del diritto comune presuppone, salvo che sia diversamente disposto, la mancanza di norme poste in via diretta o ricavabili per analogia dalla disciplina speciale (v. art. 1 cpv. c.n.). Ne consegue che laddove, al contrario, il codice della navigazione preveda un’apposita disciplina del lavoro a tempo determinato e dei suoi limiti, non sussistono spazi residui di applicazione” della normativa ordinaria.
Nondimeno, la Corte ritiene che una presunzione legale di natura indeterminata del rapporto, nell’ipotesi in cui fra la cessazione di un contratto e la stipulazione del contratto successivo intercorra un periodo non superiore ai 60 giorni (ex art. 326, ult. co. c.n.), costituisca una misura adeguata per prevenire abusi nel susseguirsi di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato.
Lo stesso è a dirsi per quanto riguarda la previsione di un intervallo di tempo superiore ai 60 giorni fra un’assunzione a termine e quella successiva, che rappresenta una regola “idonea ad ostacolare una preordinata volontà di aggirare quanto previsto dalla citata fonte comunitaria. Interruzioni superiori ai 60 giorni non consentirebbero infatti al datore di lavoro una valida programmazione dell’attività e disincentiverebbero la frantumazione dell’unico reale rapporto di lavoro a tempo indeterminato in plurimi apparenti rapporti a termine”.
Pur in questo quadro di garanzie, il Collegio non esclude, poi, la possibilità che, nel concreto dinamismo dei rapporti, sia posta in essere una condotta che integri una frode alla legge sanzionabile ai sensi dell’art. 1344 c.c.. “L’art. 1 cpv. cod. nav. non osta all’applicazione del generale principio civilistico previsto dall’art. 1344 c.c. (non esistendo nel codice della navigazione norme che diversamente regolino il fenomeno della frode alla legge). Infatti, anche se l’art. 326, ult. co. c.n. considera ininterrotta la prestazione del servizio quando fra la cessazione di un contratto e la stipulazione del contratto successivo intercorra un periodo non superiore ai 60 giorni, ciò non significa che “i contratti separati da intervalli superiori ai sessanta giorni siano sempre e comunque legittimi e che non si debba indagare circa l’esistenza di un eventuale intento fraudolento che riveli un abuso dello strumento pur astrattamente legittimo”.
Tutto ciò premesso, la Cassazione respinge il ricorso avverso la sentenza n. 26/2016 della Corte di Appello di Messina che, in parziale riforma della pronuncia del Tribunale della stessa sede, aveva dichiarato illegittimi i contratti di arruolamento intercorsi tra le parti, configurando una frode alla legge ex art. 1344 c.c., atteso che il numero dei contratti stipulati in rapporto al complessivo arco temporale di riferimento ed il susseguirsi degli stessi spesso a distanza di poco più di 60 giorni “consentiva di ravvisare l’esistenza di una costante esigenza della società allo svolgimento dell’attività affidata al lavoratore con contratto a termine e dunque l’intento frodatorio”; e precisa che l’accertamento del giudice di merito circa l’utilizzazione abusiva del contratto a tempo determinato e la ricostruzione degli elementi relativi all’intento fraudolento del datore di lavoro, il quale ripetutamente si sia avvalso di prestazioni di lavoro a termine, deve basarsi su una serie di elementi, quali: la valutazione quantitativa relativa al numero, alla frequenza ed alla reiterazione dei contratti di lavoro a tempo determinato stipulati tra le parti, l’arco temporale complessivo in cui si sono succeduti ed ogni altra circostanza fattuale da cui emerga l’uso deviato e fraudolento del contratto a termine (v. Cass. n. 5787/2014).