L’articolazione aziendale trasferita deve essere un’entità economica organizzata in modo stabile che concretizzi un legame funzionale fra lavoratori interagenti e sia caratterizzata da autonomia ed autosufficienza.
Nota a Cass. 20 aprile 2018, n. 9903
Maria Novella Bettini
Per ‘ramo d’azienda’, “come tale suscettibile di autonomo trasferimento riconducibile alla disciplina dettata per la cessione d’azienda, deve intendersi ogni entità economica organizzata in maniera stabile la quale, in occasione del trasferimento, conservi la sua identità”. Nel senso che l’autonomia funzionale di cui deve godere l’entità economica anteriormente al trasferimento si riferisce ai poteri, “riconosciuti ai responsabili del gruppo di lavoratori considerato, di organizzare in modo relativamente libero e indipendente il lavoro in seno a tale gruppo e, più specificamente, di impartire istruzioni e distribuire compiti ai lavoratori e ciò senza intervento diretto di altre strutture del datore di lavoro” (V. Corte di Giustizia UE 6 marzo 2014, C-458/2012 e Corte di Giustizia UE 6 settembre 2011, C-108/2010).
Al riguardo, legislatore e giurisprudenza hanno posto precise condizioni di legittimità allo scopo di evitare che la vicenda traslativa si trasformi in mero strumento di sostituzione del datore di lavoro con il passaggio di una pluralità di rapporti individuali ad un soggetto nel quale si possa riporre minore affidamento sul piano sia della solvibilità sia dell’attitudine a proseguire con continuità l’attività produttiva (nel senso che il trasferimento debba assicurare la continuità dei rapporti di lavoro esistenti nell’ambito di un’entità economica, indipendentemente dal cambiamento di proprietario, Corte di Giustizia UE 6 marzo 2014, C-458/12 e 12 febbraio 2009, C-466/07).
Sul punto, la normativa comunitaria (Direttive nn. 1998/50 e 2001/23), la legislazione nazionale (art. 2112, co.5, c.c., come sostituito dall’art. 32, D.LGS. 10 settembre 2003, n. 276) ed il consolidato orientamento giurisprudenziale hanno affermato una serie di principi, recentemente riproposti da Cass. 20 aprile 2018, n. 9903:
a) le richiamate Direttive postulano che il ramo d’azienda oggetto del trasferimento costituisca un’entità economica con propria identità, intesa come insieme di mezzi organizzati per un’attività economica, essenziale o accessoria (in tal senso v. anche Corte di Giustizia UE 20 luglio 2017, C‑416/16);
b) analogamente, l’art. 2112, co.5, c.c. si riferisce alla “parte d’azienda, intesa come articolazione funzionalmente autonoma di un’attività economica organizzata”;
c) tale articolazione deve quindi consistere alternativamente: a) in un’entità economica organizzata in modo stabile e non destinata all’esecuzione di una sola opera (v. Corte di Giustizia UE 24 gennaio 2002, C-51/00); b) ovvero in “un’organizzazione quale legame funzionale che renda le attività dei lavoratori interagenti e capaci di tradursi in beni o servizi determinati” (cfr., fra le tante, Cass. n. n. 10542/2016, n. 20422/2012).
d) non rileva il motivo del trasferimento, che può consistere nell’intento di superare uno stato di difficoltà economica (v. Cass. n. 13171/2009);
e) il trasferimento d’azienda o di parte (c.d. ramo) di essa si differenzia dalla cessione del contratto ex 1406 c.c., che attiene alla vicenda circolatoria del solo contratto, comportando la sola sostituzione di uno dei soggetti contraenti e necessitando, per la sua efficacia, del consenso del lavoratore ceduto (cfr. Cass. n. 6452/2009 e Corte di Giustizia CE 24 gennaio 2002, C-51/00 e 6 marzo 2014, C-458/12, cit., punti 34 e 35).
In questo quadro, la Cassazione ha confermato la sentenza di merito (App. Genova 29 aprile 2013) che aveva precisato come la natura plurindividuale della vicenda traslativa non fosse significativa di un trasferimento d’azienda se non accompagnata dall’identificazione di elementi di coesione e di connessione organizzativa tra i dipendenti, non essendo sufficiente alla configurazione di un’entità o di un gruppo organizzato, idonea a configurare un trasferimento di azienda, la “mera cessione plurima di contratto della quale, peraltro, mancava il consenso negoziale del lavoratore ceduto”.
Sulla complessa questione, v., da ultimo, M. MARAZZA, Contributo allo studio della fattispecie del ramo di azienda (art. 2112, comma 5, Cod. Civ.), in ADL, 2018, n. 2, 388.
La normativa interna:
Il co. 5 dell’art. 2112 c.c. recita: “Ai fini e per gli effetti di cui al presente articolo si intende per trasferimento d’azienda qualsiasi operazione che, in seguito a cessione contrattuale o fusione, comporti il mutamento nella titolarità di un’attività economica organizzata, con o senza scopo di lucro, preesistente al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità a prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento sulla base del quale il trasferimento è attuato ivi compresi l’usufrutto o l’affitto di azienda. Le disposizioni del presente articolo si applicano altresì al trasferimento di parte dell’azienda, intesa come articolazione funzionalmente autonoma di un’attività economica organizzata, identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento”. L’art. 32, D.LGS. n. 276/2003, che ha sostituito tale norma del codice, ha disposto altresì che restano fermi “i diritti dei prestatori di lavoro in caso di trasferimento d’azienda di cui alla normativa di recepimento delle direttive europee in materia”.