Occupare “in nero” lavoratori extracomunitari privi di permesso di soggiorno costituisce una condotta passibile di condanna sotto il duplice profilo penale ed amministrativo.
Nota a Cass. 24 maggio 2018, n. 12936
Francesca Albiniano
Con riguardo all’occupazione di lavoratori extracomunitari privi di permesso di soggiorno, la Corte di Cassazione (24 maggio 2018, n. 12936) specifica, respingendo le obiezioni dell’impresa, che l’illecito penale e quello amministrativo sanzionano due condotte diverse del datore, le quali ledono beni giuridici differenti. Con la conseguenza che l’impiego “in nero” di tali lavoratori costituisce una condotta passibile di condanna sia sotto il profilo penale che in termini amministrativi.
La fattispecie riguarda un datore di lavoro che aveva impiegato lavoratori non risultanti nelle scritture contabili o in altra documentazione obbligatoria. Al riguardo, i giudici hanno chiarito che la diversità delle finalità “sottese nella fattispecie all’irrogazione della sanzione penale e di quella amministrativa rispettivamente tramite l’emanazione del decreto penale di condanna e dell’ordinanza-ingiunzione” trae fondamento dalla differente condotta sanzionata dalle disposizioni in oggetto che attengono, nella prima ipotesi, alla violazione della normativa sull’immigrazione; nella seconda, alla elusione dell’assolvimento degli obblighi contributivi.
Ne consegue che sotto il profilo penale l’elemento costitutivo del reato è incentrato sulla qualità soggettiva di lavoratore extracomunitario irregolare, propria del soggetto impiegato clandestinamente. Mentre, la determinante dell’illecito amministrativo è rappresentata dall’occupazione “in nero”, ovvero l’impiego non indicato nelle scritture contabili o in altra documentazione obbligatoria.
In sintesi, dal momento che le condotte datoriali ledono beni giuridici diversi (da un lato, le norme sull’immigrazione, dall’altro, l’assolvimento degli obblighi contributivi), secondo la Corte, non si non configura alcuna violazione del divieto di ne bis in idem.