Nel caso di trasferimento d’azienda, seguito dal fallimento del cedente, il lavoratore può chiamare in causa l’impresa cessionaria, pena la violazione dell’art. 111 c.p.c.
Nota a Cass. 21 maggio 2018, n. 12436
Annarita Lardaro
In ipotesi di trasferimento di ramo d’azienda, è ammissibile la chiamata in causa della società cessionaria del suddetto ramo da parte di una lavoratrice licenziata illegittimamente dalla società cedente e reintegrata nel posto di lavoro dopo il trasferimento del ramo d’azienda presso cui aveva prestato la sua opera.
L’impresa cessionaria, infatti, è successore a titolo particolare (v. art. 111 c.p.c.) della cedente nella generalità dei rapporti preesistenti e, pertanto, non riveste la qualità di terza, ma di parte processuale “per l’acquisita titolarità del diritto in contestazione, in una posizione processuale e sostanziale non distinta da quella del suo dante causa; con la sua conseguente legittimazione ad intervenire o ad essere chiamata in causa, senza i limiti risultanti dall’art. 344 c.p.c., né il rispetto dei termini e delle forme prescritti dall’art. 269 c.p.c.”.
È quanto affermato dalla Corte di Cassazione 21 maggio 2018, n. 12436 (difformemente ad App. Aquila 14 aprile 2016), ritenendo ammissibile il ricorso nei confronti della società cessionaria in via reintegratoria e risarcitoria in via solidale per tutti i crediti della lavoratrice al tempo del trasferimento (art. 2112, co. 2 c.c. V. Cass. 6 marzo 2015, n. 4598 e Cass. 29 marzo 2010, n. 7517).
I giudici precisano altresì che il fallimento della cedente “non osta alla vigenza dell’azione nei confronti del coobbligato (tra l’altro per la sola parte suindicata) in bonis: essendo attratta al foro fallimentare la sola domanda nei
confronti del coobbligato fallito, per l’autonomia delle azioni proponibili da un creditore verso più soggetti solidalmente obbligati nei suoi confronti (Cass. 29 febbraio 2016, n. 2902 e Cass. 9 luglio 2005, n. 14468).