È licenziabile per giusta causa la guardia giurata che non indossi il giubbotto antiproiettile e che, durante le ore di servizio, abbandoni il posto di lavoro per recarsi al bar.
Nota a Cass. 12 aprile 2018, n. 9121
Francesco Belmonte
La fattispecie dell’abbandono del posto di lavoro, di cui all’art. 140, ccnl per i Dipendenti da Istituti di vigilanza privata 2 maggio 2006 (ora, art. 101, ccnl per i Dipendenti da Istituti e Imprese di vigilanza privata e servizi fiduciari, 8 aprile 2013) “presenta una duplice connotazione, oggettiva, per cui, dovendosi identificare l’abbandono nel totale distacco dal bene da proteggere, rileva l’intensità dell’inadempimento agli obblighi di sorveglianza, e soggettiva, consistente nella coscienza e volontà della condotta di abbandono indipendentemente dalle finalità perseguite e salva la configurabilità di cause scriminanti, restando irrilevante il motivo dell’allontanamento”.
Lo ha stabilito la Cassazione (12 aprile 2018, n. 9121), la quale, diversamente da quanto affermato dalla Corte d’Appello di Firenze (n. 394/2015), ha ritenuto legittimo il licenziamento intimato ad un dipendente, comandato in servizio di piantonamento antirapina presso un’agenzia bancaria, per non avere quest’ultimo indossato il giubbotto antiproiettile (come già in analoghe cinque occasioni precedenti) e per aver abbandonato il luogo di lavoro senza giustificazioni.
Per i giudici fiorentini, la sanzione espulsiva doveva ritenersi sproporzionata sul rilievo che l’abbandono del posto di lavoro da parte della guardia particolare giurata, tenuto conto della peculiarità del servizio di piantonamento, si concretizza “solo quando, per modalità e tempi, l’agente si allontani favorendo eventuali intrusioni non controllate”.
Di diverso avviso è invece la Cassazione, per la quale i giudici di merito non si sono attenuti al consolidato orientamento di legittimità, secondo cui: “in tema di licenziamento per giusta causa, ai fini della proporzionalità tra addebito e recesso, rileva ogni condotta che, per la sua gravità, possa scuotere la fiducia del datore di lavoro e far ritenere la continuazione del rapporto pregiudizievole agli scopi aziendali, essendo determinante, in tal senso, la potenziale influenza del comportamento del lavoratore, suscettibile, per le concrete modalità e il contesto di riferimento, di porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento, denotando scarsa inclinazione all’attuazione degli obblighi in conformità a diligenza, buona fede e correttezza”. La congruità della sanzione espulsiva (riservata alla valutazione del giudice di merito) deve tener conto di ogni aspetto concreto del fatto, “alla luce di un apprezzamento unitario e sistematico della sua gravità, rispetto ad un’utile prosecuzione del rapporto di lavoro”. Rivestono inoltre rilievo oltre alla configurazione delle mancanze operata dalla contrattazione collettiva, l’intensità dell’elemento intenzionale, la natura, la tipologia del rapporto della relazione lavorativa, il grado di affidamento richiesto dalle mansioni svolte dal prestatore, la durata del rapporto, le precedenti modalità di attuazione del medesimo e l’assenza di sanzioni pregresse. (cfr., fra le tante, Cass. n. 2013/2012).