I proventi derivanti da strumenti finanziari aventi diritti patrimoniali rafforzati, percepiti da dipendenti e amministratori di società (o di società controllate dalle stesse), alle condizioni previste dall’art. 60 del D.L. n. 50/2017, generano redditi di natura finanziaria (di capitale o diversi) e non redditi di lavoro dipendente.
Nota a AdE Circ. 16 ottobre 2017, n. 25/E
L’Agenzia delle entrate, con la circolare n. 25/E/2017, ha fornito rilevanti chiarimenti sul trattamento fiscale da riservare ai proventi derivanti dalle azioni, quote o altri strumenti finanziari aventi diritti patrimoniali rafforzati di cui all’art. 60 del D.L. 24 aprile 2017, n. 50 (c.d. Carried Interest), percepiti da coloro che intrattengono un rapporto di lavoro dipendente o assimilato con società, enti o società di gestione dei fondi d’investimento.
Tali strumenti comportano una partecipazione agli utili proporzionalmente maggiore rispetto a quella degli altri investitori e presuppongono che la generalità dei soci abbia ottenuto il rimborso del capitale investito oltre ad un rendimento adeguato. Il maggior rendimento connesso agli strumenti finanziari in esame è denominato “carried interest” e rappresenta una forma di incentivo riconosciuto, al realizzarsi di determinati risultati, ai soggetti maggiormente esposti al rischio derivante dall’investimento.
Questi strumenti ponevano un problema circa l’esatta qualificazione reddituale da dare ai proventi che producono. Infatti, considerato il duplice ruolo rivestito dai loro titolari in seno alle società, vale a dire amministratore o dipendente, per effetto dell’esistenza di un rapporto di lavoro (e quindi possibili titolari di un reddito di lavoro dipendente o assimilato) e, per effetto della titolarità di tali strumenti, anche di azionista/quotista (e quindi anche possibili titolari di reddito di capitale), era in dubbio se, alla luce del principio di omnicomprensività del reddito da lavoro dipendente ex art. 51 TUIR, tali proventi dovessero essere tassati secondo i criteri stabiliti dall’art. 51 TUIR, attribuendogli, dunque, la qualifica di reddito da lavoro dipendente oppure in base alle regole prescritte dagli artt. 44 (e segg.) e 67 (e segg.) TUIR in tema di tassazione dei redditi di capitale o diversi. Il predetto principio di omnicomprensività è, infatti, idoneo a ricomprendere nell’alveo del reddito da lavoro dipendente ogni erogazione riconducibile al rapporto di lavoro (inclusi i compensi erogati in natura). Si poneva, in altri termini, il problema circa quale delle due “anime” dovesse prevalere.
L’art. 60 del D.L. n. 50/2017 risolve la situazione prevedendo che detti proventi siano “in ogni caso” ricondotti nel novero dei redditi di natura finanziaria e siano, dunque, qualificati come di capitale (si tratta dei proventi derivanti dall’incasso di cedole) o diversi (si tratta dei proventi derivanti dalla loro negoziazione) e non già come redditi di lavoro dipendente. Occorre tuttavia il rispetto di talune condizioni:
a) l’impegno di investimento complessivo di tutti i dipendenti e gli amministratori comporta un esborso effettivo pari ad almeno l’1% dell’investimento complessivo effettuato dall’OICR o del patrimonio netto (capitale sociale più riserve) nel caso di società od enti;
b) i proventi delle azioni, quote o strumenti finanziari che provengono dai diritti patrimoniali rafforzati maturano solo dopo che tutti i quotisti dell’OICR o i soci della società abbiano percepito un ammontare pari al capitale investito e un rendimento minimo previsto nel regolamento dell’OICR o nello statuto della società, ovvero, in caso di cambio di controllo (o di gestione), alla condizione che gli altri quotisti o soci abbiano realizzato, con la cessione, un prezzo di vendita almeno pari al capitale investito ed al suddetto rendimento minimo;
c) le azioni, quote o strumenti finanziari con diritti patrimoniali rafforzati sono detenute dai dipendenti e dagli amministratori (o dai loro eredi) per un periodo non inferiore a 5 anni o, qualora precedente, al cambio del controllo della società o del gestore per l’OICR.
L’art. 60, come visto, fa prevalere il rapporto associativo su quello lavorativo, ma solo in presenza di talune specifiche condizioni. L’Agenzia delle entrate, con la circolare in commento, ha quindi fornito le opportune precisazioni rispetto:
- alla tipologia dei soggetti destinatari della norma;
- alla consistenza dell’investimento;
- al differimento nella distribuzione del carried interest;
- al periodo minimo di detenzione degli strumenti finanziari.
In particolare, in merito al requisito sub 1.), la circolare, come anticipato, ha chiarito che rientrano nell’ambito applicativo dell’art. 60 non solo coloro che intrattengono un rapporto di lavoro dipendente o assimilato con la società, l’ente o la SGR (eccezion fatta per i professionisti coinvolti come consulenti), ma anche i manager e i dipendenti oltre che della SGR anche delle società che effettuano l’investimento e delle società obiettivo (c.d. “target”) delle operazioni di investimento nonché i manager e dipendenti di società di consulenza finanziaria (c.d. advisory company) che intervengono sulle strategie di investimento e sulle relative scelte.
Con riferimento al requisito sub 2.), la circolare ha invece precisato che per individuare il momento in cui bisogna “misurare” la percentuale di investimento minimo richiesta ai manager/dipendenti, nell’ambito degli OICR, occorre far riferimento alla data di chiusura del periodo di sottoscrizione del fondo, mentre per gli investimenti minimi nelle società, tale soglia deve sussistere al momento della sottoscrizione dei titoli in sede di aumento di capitale sociale o alla data del loro acquisto.
Per accedere alla presunzione legale di qualificazione del reddito (di capitale o diverso), come richiesto dal requisito sub 3.), occorre altresì che il carried interest venga distribuito ai manager/dipendenti solo dopo che gli altri investitori abbiano percepito un ammontare pari al capitale investito e un rendimento minimo previsto nello statuto o nel regolamento; ciò, però, secondo l’Agenzia delle entrate, non preclude la possibilità di restituzione del capitale e del rendimento minimo ai manager/dipendenti titolari di strumenti finanziari rafforzati, prima della maturazione del carried interest.
L’art. 60, co.1, lett. c) richiede, infine, un ulteriore requisito ai fini della qualificazione del provento come reddito di capitale o diverso; è il requisito sub 4.), ovverosia un periodo minimo di possesso degli strumenti finanziari con diritti patrimoniali rafforzati “non inferiore a cinque anni” (c.d. holding period). A tale riguardo la circolare ha chiarito che l’holding period in parola riguarda non solo le azioni, quote o gli strumenti patrimoniali aventi diritti patrimoniali rafforzati, ma anche quelli ordinari che hanno concorso al raggiungimento della percentuale minima dell’1%. In tale contesto viene altresì precisato che il periodo minimo di detenzione dello strumento finanziario non preclude la possibilità di percezione del carried interest prima del compimento del quinquennio, potendo maturare l’holding period anche dopo l’erogazione del provento.
A valle delle considerazioni sin qui riportate, l’Agenzia delle entrate ha infine specificato che la carenza di uno o più requisiti sanciti dall’art. 60 citato non comporta tout court l’automatica riqualificazione dei proventi derivanti da strumenti finanziari rafforzati come redditi da lavoro, ma bisognerà analizzare case-by-case la natura (finanziaria o meno) del provento ai fini della sua corretta attribuzione reddituale. Dunque, al di fuori del campo di applicazione della normativa in esame, restano ancora esistenti criticità nella qualificazione dei proventi derivanti da strumenti finanziari partecipativi. La circolare in esame fornisce, comunque, alcuni importanti orientamenti.
Francesco Palladino