Il lavoratore ultrasessantenne è licenziabile ad nutum solo al momento in cui la pensione diviene giuridicamente conseguibile.
Nota a Cass. (ord.) 25 maggio 2018, n. 13181
Paolo Pizzuti
Solo la maturazione del diritto al pensionamento di vecchia consente al datore di lavoro di recedere liberamente dal rapporto (c.d. recesso ad nutum ex art. 2118 c.c.) (v. Cass. S.U. n. 17589/2015; in precedenza, v. Cass. n.6537/2014; n.12568/2003; n. 3237/2003).
Di conseguenza, come osserva la Corte di Cassazione ( ord., 25 maggio 2018, n. 13181), “la possibilità del recesso ad nutum, con sottrazione del datore di lavoro all’applicabilità del regime dell’art. 18 L. n. 300 del 1970, è condizionata non dalla mera maturazione dei requisiti anagrafici e contributivi idonei per la pensione di vecchiaia, bensì dal momento in cui la prestazione previdenziale è giuridicamente conseguibile dall’interessato”.
Sicché, è illegittimo il licenziamento intimato durante le c.d. “finestre” (nel caso esaminato dal Collegio, si protraeva di 12 mesi il godimento della pensione), poiché rientra tra i requisiti pensionistici anche il relativo periodo (v. art. 12, co. 1, D.L. n. 78/2010, conv. con modific. dalla L. n. 122/2012, vigente all’atto del licenziamento, in base al quale, a decorrere dall’anno 2011, coloro che – come il lavoratore in questione – maturavano il diritto all’accesso al pensionamento di vecchiaia a 65 anni, conseguivano “il diritto alla decorrenza del trattamento pensionistico … trascorsi 12 mesi dalla data di maturazione dei requisiti previsti”).
Inoltre, qualora il requisito de quo intervenga nel periodo intercorrente tra il licenziamento e la sentenza, ciò non impedisce l’ordine di reintegrazione (allora dovuto in base all’art. 18, prima delle modifiche della L. n. 92/2012, c.d. L. Fornero).
I giudici confermano, dunque, il principio, affermato specificamente in materia di pensione di anzianità ed operante anche per la pensione di vecchiaia, secondo cui il relativo diritto si perfeziona soltanto nel momento in cui matura la data di decorrenza fissata dalla legge (momento che va identificato nella data di apertura della “finestra” indicata caso per caso dalla legge), “essendo quindi irrilevante, per l’insorgenza di siffatto diritto, che l’assicurato abbia, prima del predetto momento, conseguito il prescritto requisito contributivo e presentato domanda di pensione” (cfr., da ultimo, Cass. n. 15879/2017 e Cass. n. 16532/2015).
Qualora poi le suddette condizioni “si perfezionino nel periodo intercorrente tra la data del licenziamento e quella della sentenza con cui venga accertata l’insussistenza di una sua idonea giustificazione, non è preclusa l’emanazione del provvedimento di reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro … mentre il rapporto di lavoro è suscettibile di essere estinto solo per effetto di un valido (e diverso) atto di recesso, che ben può essere emanato anche nelle more del giudizio”.
Come noto, il compimento dell’età pensionabile, come il possesso dei requisiti per avere diritto alla pensione di vecchiaia, determinano non già l’automatica estinzione del rapporto, ma solo la cessazione del regime di stabilità e della tutela prevista dalla legge, consentendo il recesso ad nutum. Infatti, ai sensi dell’art. 4, co.2, L. n. 108/ 1990: “2. Le disposizioni di cui all’articolo 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, come modificato dall’articolo 1 della presente legge, e dell’articolo 2 non si applicano nei confronti dei prestatori di lavoro ultrasessantenni, in possesso dei requisiti pensionistici, sempre che non abbiano optato per la prosecuzione del rapporto di lavoro ai sensi dell’articolo 6 del decreto-legge 22 dicembre 1981, n. 791, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1982, n. 54. Sono fatte salve le disposizioni dell’articolo 3 della presente legge e dell’articolo 9 della legge 15 luglio 1966, n. 604”.