I militari possono istituire proprie associazioni sindacali.
Nota a Corte Cost. 13 giugno 2018, n. 120
Fabio Iacobone
“I militari possono costituire associazioni professionali a carattere sindacale alle condizioni e con i limiti fissati dalla legge; non possono aderire ad altre associazioni sindacali».
È quanto statuito dalla Corte Costituzionale (13 giugno 2018, n. 120), la quale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 1475, co. 2, D.LGS. n. 66/2010 (codice dell’ordinamento militare) il quale prevedeva che “I militari non possono costituire associazioni professionali a carattere sindacale o aderire ad altre associazioni sindacali”.
In ragione di tale divieto, il Comando generale della Guardia di finanza aveva rigettato l’istanza volta ad ottenere «l’autorizzazione a costituire un’associazione a carattere sindacale fra il personale dipendente del Ministero della difesa e/o del Ministero dell’economia e delle finanze o, in ogni caso, ad aderire ad altre associazioni sindacali già esistenti”.
Il Consiglio di Stato (con ord. 4 maggio 2017 – reg. ord. n. 111/2017) ha sollevato la questione di legittimità costituzionale della suddetta disposizione per contrasto con l’art. 117, co.1, Cost., in relazione sia agli artt. 11 e 14, Convenz. per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (d’ora in poi CEDU) (firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con L. 4 agosto 1955, n. 848), ed alle sentenze emesse in data 2 ottobre 2014 dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, V sez., Matelly e Association de Défense des Droits des Militaires (ADefDroMil) contro Francia; sia all’art. 5, paragr. unico, terzo periodo, Carta sociale europea (riveduta, con annesso), Strasburgo il 3 maggio 1996, ratificata e resa esecutiva con la L. 9 febbraio 1999, n. 30.
Nello specifico, la Corte rileva che:
– in base all’art. 11 della CEDU, sulla «Libertà di riunione e di associazione», si riconosce (ai paragr.1 e 2) il diritto di associazione sindacale, come pure che l’esercizio di tale diritto, “non può essere oggetto di restrizioni diverse da quelle che sono stabilite dalla legge e che costituiscano in una società democratica misure necessarie alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale e alla protezione dei diritti e delle libertà altrui”. La Convenzione sancisce inoltre che il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti deve essere assicurato senza nessuna discriminazione (art. 14), anche se non è impedito imporre “restrizioni legittime” nei confronti dei membri delle Forze armate della polizia o dell’amministrazione dello Stato (art.11, paragr. 2, secondo periodo);
– la Corte europea dei diritti dell’uomo con le richiamate sentenze Metelly e ADefDroMil (rispettivamente paragr. 55 e 41) aveva stabilito che dalla libertà di associazione sindacale non potevano essere esclusi i membri delle Forze armate, potendo, al più, gli Stati, introdurre “restrizioni legittime” che non mettessero in discussione gli elementi fondamentali della libertà di associazione sindacale, senza i quali sarebbe venuto meno il contenuto della libertà medesima; con la conseguenza che il legislatore francese, con la legge 28 luglio 2015, n. 2015-917, ha modificato la previsione incompatibile con la CEDU, riconoscendo il diritto di associazione professionale secondo quanto stabilito con una specifica disciplina. Anche in Spagna i princìpi in questione sono stati enunciati nella sentenza della grande camera 12 novembre 2008, Demir e Baykara contro Turchia (in relazione ad un sindacato costituito da funzionari municipali), e poi richiamati nella successiva pronunzia Junta Rectora Del Ertzainen Nazional Elkartasuna (ER.N.E.) contro Spagna, resa il 21 aprile 2015 dalla III sez. della Corte EDU (con riguardo ad un sindacato costituito da funzionari di polizia).
La Carta sociale europea (oggetto di revisione nel 1996, che riunisce in un solo trattato i diritti riconosciuti dalla versione originaria del 1961 e quelli che sono stati aggiunti attraverso il Protocollo addizionale del 5 maggio 1988, entrato in vigore il 4 settembre 1992), poi, “costituisce il naturale completamento della CEDU sul piano sociale poiché, come si legge nel preambolo, “gli Stati membri del Consiglio d’Europa hanno voluto estendere la tutela anche ai diritti sociali, ricordando il carattere indivisibile di tutti i diritti dell’uomo”; e, come tale deve qualificarsi fonte internazionale (ai sensi dell’art. 117, co.1, Cost.). In base all’art. 5 (“Diritti sindacali della Carta”): “per garantire o promuovere la libertà dei lavoratori e dei datori di lavoro di costituire organizzazioni locali, nazionali o internazionali per la protezione dei loro interessi economici e sociali ed aderire a queste organizzazioni, le Parti s’impegnano affinché la legislazione nazionale non pregiudichi questa libertà né sia applicata in modo da pregiudicarla. La misura in cui le garanzie previste nel presente articolo si applicheranno alla polizia sarà determinata dalla legislazione o dalla regolamentazione nazionale. Il principio dell’applicazione di queste garanzie ai membri delle forze armate e la misura in cui sarebbero applicate a questa categoria di persone è parimenti determinata dalla legislazione o dalla regolamentazione nazionale”.
Il contenuto della norma, come si vede, è simile a quello corrispondente della CEDU; sicché, conclude la Corte, è “incompatibile con essa l’esclusione nei confronti dei militari del diritto di associazione sindacale da parte degli Stati sottoscrittori” e, “alla stregua di entrambi i parametri, vincolanti ai sensi dell’art. 117, primo comma, Cost., va riconosciuto ai militari il diritto di costituire associazioni professionali a carattere sindacale”.
Ma, se è riconosciuta la facoltà agli Stati contraenti di introdurre restrizioni all’esercizio dei diritti sindacali dei militari, è comunque possibile adottare con legge restrizioni nei confronti di determinate categorie di pubblici dipendenti. Occorre dunque verificare se e in quale misura tale facoltà possa o debba essere esercitata, alla luce dei princìpi costituzionali che presiedono all’ordinamento militare.
Ripercorrendo le proprie decisioni, la Corte rileva che già la sentenza n. 126/1985 aveva affermato che la L. n. 382/1978, “rispecchia l’esigenza, la quale promana dalla Costituzione, che la democraticità dell’ordinamento delle Forze armate sia attuata nella massima misura compatibile col perseguimento da parte di queste dei propri fini istituzionali”. Per cui spettano ai militari i diritti dei cittadini ma, tramite legge, possono essere imposte ai militari limitazioni nell’esercizio di tali diritti e l’osservanza di particolari doveri al (solo) fine di garantire l’assolvimento dei compiti propri delle Forze armate.
La sentenza n. 278/1987, poi, ha dichiarato che la Costituzione “ha superato radicalmente la logica istituzionalistica dell’ordinamento militare”, riconducendo quest’ultimo nell’ambito del generale ordinamento statale. Nella stessa linea, per la sentenza n. 449/1999, l’art. 52, co.3, Cost. si riferisce all’ordinamento delle Forze armate, “non per indicare una sua (inammissibile) estraneità all’ordinamento generale dello Stato, ma per riassumere in tale formula l’assoluta specialità della funzione”.
È poi fondamentale il principio di democraticità dell’ordinamento delle Forze armate, evocato in via generale dell’art. 52 Cost., che non può non coinvolgere anche le associazioni fra militari.
In questo quadro, dunque, i militari possono costituire associazioni professionali a carattere sindacale (pur se alle condizioni e con i limiti fissati dalla legge) anche se essi non potranno aderire ad altre associazioni sindacali non costituite da militari stessi.
Ai suddetti limiti dell’azione sindacale, si affianca poi il divieto di esercizio del diritto di sciopero giustificato dalla necessità di garantire l’esercizio di altre libertà non meno fondamentali e la tutela di interessi costituzionalmente rilevanti (sentenza n. 31/1969).
L’art. 1475 (Limitazioni all’esercizio del diritto di associazione e divieto di sciopero), D.LGS. n. 66/2010, prima dell’intervento della Corte, prevedeva:
“1. La costituzione di associazioni o circoli fra militari è subordinata al preventivo assenso del Ministro della difesa.
2. I militari non possono costituire associazioni professionali a carattere sindacale o aderire ad altre associazioni sindacali.
3. I militari non possono aderire ad associazioni considerate segrete a norma di legge e a quelle incompatibili con i doveri derivanti dal giuramento prestato.
4. I militari non possono esercitare il diritto di sciopero”.