Il termine triennale di prescrizione delle prestazioni INAIL decorre dall’effettiva conoscenza dell’origine professionale della malattia.
Nota a Trib. Torino 16 febbraio 2018, n. 310
Francesco Belmonte
L’azione per conseguire le prestazioni assicurative per malattie professionali si prescrive nel termine di tre anni dal giorno della manifestazione della patologia, ossia dal momento in cui l’assicurato (o l’avente diritto) abbia l’oggettiva possibilità di conoscere la malattia stessa ed il nesso eziologico che la ricollega causalmente all’attività lavorativa svolta.
Lo ha chiarito il Tribunale di Torino (16 febbraio 2018, n. 310) in relazione ad una fattispecie riguardante il riconoscimento della rendita pensionistica ai superstiti, avanzata (in data 7 febbraio 2014) dalla vedova di un lavoratore, addetto agli impianti di Alpignano di fonderia della ghisa e deceduto (il 25 ottobre 1988) a seguito di carcinoma polmonare (patologia c. d. tabellata).
L’INAIL aveva respinto l’istanza sul presupposto che era stata presentata dalla vedova a distanza di quasi ventisei anni dalla morte del marito, oltre, quindi, il termine prescrizionale di tre anni contemplato dall’art. 112, co. 1, D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, in base al quale: “L’azione per conseguire le prestazioni (n.d.r. assicurative per infortuni sul lavoro o malattie professionali) … si prescrive nel termine di tre anni dal giorno dell’infortunio o da quello della manifestazione della malattia professionale.”
Il Tribunale, investito della questione, ha ritenuto che la nozione di “manifestazione della malattia professionale”, individuata dalla norma quale dies a quo di decorrenza della prescrizione, postula una condizione di obiettiva possibilità di conoscenza per l’assicurato (o l’avente diritto) della patologia e della sua origine professionale.
Nella specie, la vedova non avrebbe avuto a disposizione “dei dati sicuri o quanto meno ragionevolmente certi sull’origine professionale del cancro al polmone”, ciò in quanto non frequentava “direttamente” l’ambiente di lavoro e nessuno l’avrebbe resa edotta – se non dopo le iniziative intraprese nel 2013 da un rappresentante sindacale, anche a mezzo stampa, per la bonifica del sito della fabbrica di Alpignano – “del rischio che la costante esposizione ai fumi dell’acciaieria avrebbe prodotto per la salute del coniuge”.
“La circostanza che si sapesse che i fumi e le polveri dell’acciaieria si disperdevano nell’ambiente circostante, con danni per la vegetazione e per le stesse attività che si svolgevano nella zona, nonché il fatto di dover lavare settimanalmente gli indumenti del marito, lordi di polvere, non sono elementi sufficienti, per un soggetto come la ricorrente privo di nozioni mediche …, da rendere oggettivamente conoscibile, con ragionevole sicurezza, la causa professionale del carcinoma …, trattandosi di informazioni assolutamente equivoche o lacunose,” in rapporto al suo grado di cultura ed alle sue scarse conoscenze medico-scientifiche.
Pertanto, conclude il Tribunale, è del tutto verosimile che la vedova “abbia avuto piena certezza del suo diritto a richiedere l’indennità …, solo dopo aver parlato con il rappresentante sindacale a seguito di alcuni suoi articoli di giornale nel 2013, in tempo, dunque, per ritenere tempestiva la domanda per la rendita presentata nel febbraio 2014.”
[In generale, in tema di diritti spettanti ai superstiti, si v. M.N. BETTINI, Indennità in caso di morte e diritti dei superstiti, in E. GRAGNOLI (a cura di), L’estinzione del rapporto di lavoro subordinato, in Trattato di diritto del lavoro, diretto da M. Persiani e F. Carinci, vol. V, Cedam, 2017, 179 e F. DURVAL, La pensione ai superstiti, Monotema n. 14/2017, in questo sito].