Il lavoratore che proponga azione contro il licenziamento oltre il termine di 60 giorni non incorre nel termine di decadenza qualora il sindacato, per ottenere la reintegrazione nel posto di lavoro, abbia proposto nei termini l’azione di repressione della condotta antisindacale.
Nota a Cass. 4 giugno 2018, n. 14212
Valerio Di Bello
L’azione promossa (ex art. 28 Stat. Lav.) dall’associazione sindacale, nel termine di 60 giorni dal recesso, al fine di ripristinare un rapporto di lavoro che si assume invalidamente risolto, impedisce anche la decadenza di cui all’art. 6, L. n. 604/1966, fatta salva la necessità per il lavoratore di proseguire, in via autonoma, l’azione individuale nelle forme di legge (v. Cass. n. 26514/2013).
Tale importante principio è stato riaffermato dalla Corte di Cassazione (4 giugno 2018 n. 14212), che ha puntualmente ricostruito la posizione della giurisprudenza sul punto.
Come noto, ai sensi dell’art. 6, co.1, L. n. 604/1966 “il licenziamento deve essere impugnato a pena di decadenza entro sessanta giorni dalla ricezione della sua comunicazione in forma scritta, ovvero dalla comunicazione, anch’ essa in forma scritta, dei motivi, ove non contestuale, con qualsiasi atto scritto, anche extragiudiziale, idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore anche attraverso l’intervento dell’organizzazione sindacale diretto ad impugnare il licenziamento stesso”.
Il diritto di impugnativa, “anche attraverso l’intervento dell’organizzazione sindacale”, conferisce alle associazioni sindacali il potere di rappresentare ex lege il lavoratore, “equiparando l’impugnazione effettuata dall’organizzazione sindacale, indipendentemente da un mandato o una ratifica successiva, a quella compiuta direttamente dall’interessato” (v. Cass. n. 26514/2013, cit.).
Tale potere è infatti attribuito a qualunque associazione (e non solo quella cui il lavoratore abbia in precedenza aderito): a) direttamente; b) senza procura ex ante; c) e senza necessità di ratifica del lavoratore. Ciò, sul presupposto che l’associazione sindacale, “in quanto a conoscenza della situazione aziendale, sia in grado di valutare al meglio gli interessi del lavoratore, almeno impedendo che si verifichi il termine decadenziale e si possa, poi, valutare con l’interessato l’opportunità di una prosecuzione dell’impugnazione in sede giudiziaria” (Cass. n. 26514/2013, cit.).
I giudici rilevano come l’azione di repressione della condotta antisindacale, attivata tempestivamente (vale a dire nel termine di cui all’art. 6 cit.), in relazione ad un recesso individuale, impedisca “sicuramente” il compimento dell’atto datoriale di risoluzione del rapporto individuale, realizzando, per tale via, la finalità propria della disposizione, ossia l’equiparazione del sindacato al lavoratore, ai fini dell’impugnazione del recesso.
Del resto, osserva il Collegio, l’art. 6, L. n. 604/1966 impiega una formula (“anche attraverso l’iniziativa del sindacato”) di ampiezza tale da “ricomprendere l’ipotesi tipica di iniziativa sindacale quale è quella esercitata attraverso lo strumento giudiziale dell’art. 28 cit.”. Spetterà poi al lavoratore valutare se proseguire o meno l’azione giudiziale, sulla base del sistema delineato dall’art. 6, co. 2, L. n. 604/1966, e successive modifiche ed integrazioni, che prevede l’inefficacia dell’impugnazione (di cui al co. 1) se non seguita dal deposito del ricorso giudiziale (o dalla comunicazione alla controparte della richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato) nel termine (anch’esso di decadenza, v. Cass. n. 13598/2016) di giorni 180.
La Corte rileva infine che il diritto alla tutela contro il licenziamento ingiustificato rappresenta un “diritto sociale fondamentale” riconosciuto anche dall’art. 30 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. Tale diritto – sebbene non direttamente applicabile alla fattispecie, ex art. 51 della Carta medesima (dato che la controversia in oggetto non rappresenta una questione di diritto dell’Unione) – può costituire una fonte di “libera interpretazione” anche del dato normativo nazionale, stante il suo “carattere espressivo di principi comuni agli ordinamenti Europei” (v. Corte Cost. n. 135/2002) operanti anche nei sistemi nazionali (sul tema, v. Corte Cost. n. 93/2010; n. 81/2011; n. 31/2012; Cass. n. 15519/2012 e Cass. n. 7/2011, in motivaz.).
Alla luce di queste considerazioni, la Corte ha cassato la sentenza impugnata ed affermato il principio che: «l’art. 6 della legge n. 604 del 1966 deve essere interpretato nel senso che l’impugnativa di cui al comma 1 è soddisfatta con l’esercizio, nel termine di giorni 60, dell’azione ex art. 28 della legge n. 300 del 1970 avverso il licenziamento del dipendente».