Il trasferimento dei lavoratori in una sede lontana e disagiata, rispetto all’unità produttiva di appartenenza, non costituisce di per sé abuso del diritto.
Nota a Cass. 15 giugno 2018, n.15885
Eugenio Erario Boccafurni
Qualora i lavoratori siano chiamati a scegliere tra la sottoscrizione di un verbale di conciliazione, volto ad accettare la messa in mobilità a fronte della corresponsione di un incentivo all’esodo, ed il trasferimento presso sedi aziendali particolarmente lontane e disagiate, la fattispecie, non configura un abuso del diritto datoriale.
Il principio è sancito dalla Corte di Cassazione (15 giugno 2018, n. 15885) relativamente al caso del rifiuto da parte di alcuni lavoratori della proposta conciliativa e di eseguire l’ordine di trasferimento, con conseguente licenziamento disciplinare per assenza ingiustificata dal posto di lavoro nella nuova sede.
La Corte osserva che nel nostro ordinamento civilistico e nella legislazione speciale manca sia un divieto espresso e generale di abuso del diritto soggettivo, sia l’enunciazione di criteri ermeneutici volti a riconoscere tale fattispecie.
Nondimeno, la giurisprudenza consolidata ha identificato l’abuso di diritto in tutti quei casi concreti in cui il titolare di un diritto (la cui fonte sia rinvenibile in un contratto o in una legge) lo eserciti per una finalità difforme, non meritevole di tutela dall’ordinamento e con conseguente ingiustificata sproporzione tra il vantaggio conseguito dal titolare ed il sacrifico sofferto dalla controparte (v. Cass. n. 20106/2009); sproporzione che deve tener conto anche dell’eventuale lesione dei generali principi di correttezza e buona fede tra i contraenti, codificati nel combinato disposto degli artt. 1175 c.c., 1375 c.c. e 2 Cost. (v. Cass. nn. 10568/2013; 8567/2012).
Secondo il collegio, nel caso di specie, l’esistenza di un’ipotesi di abuso del diritto è da escludere giacché:
a) il trasferimento disposto in unità produttive lontane e disagiate non è di per sé circostanza tale da implicare l’illegittimità del provvedimento datoriale;
b) i lavoratori hanno operato una scelta (aderire o non aderire alla conciliazione), avendo ben presente le conseguenze legate all’una o all’altra opzione.
In altri termini, non si è raggiunta la prova della “ingiustificata sproporzione” tra il beneficio potenzialmente derivante all’azienda titolare del diritto e il disagio arrecato ai lavoratori, qualora questi avessero iniziato a svolgere la propria prestazione lavorativa nella nuova sede di destinazione.
Ed inoltre, la Corte ha ritenuto che siano stati rispettati i principi di buona fede e correttezza tra i contraenti, in quanto l’azienda ha ben prospettato tutti i futuri scenari legati alle possibili scelte dei lavoratori e gli stessi hanno avuto una “libera e consapevole autodeterminazione” nel firmare o meno il verbale di conciliazione.