Il recesso è nullo se il datore non motiva l’esito negativo della prova.
Nota a Trib. Milano 17 maggio 2018, n. 1213
Francesco Belmonte
La totale carenza di motivazione circa l’esito negativo della prova costituisce un elemento di per sé sufficiente a determinare la nullità del recesso. A tale principio, non fa eccezione il divieto generale di licenziamento della madre lavoratrice (e del padre lavoratore), di cui all’art. 54, co. 1, D. LGS. 26 marzo 2011, n. 151. A stabilirlo è il Tribunale di Milano (17 maggio 2018, n. 1213), in relazione al licenziamento intimato ad una gestante per mancato superamento della prova.
Nella specie, la lavoratrice era stata assunta in data 31 luglio 2017 con lettera sottoscritta senza patto di prova. Tale lettera era stata poi modificata con la previsione di un periodo di prova di 60 giorni e inviata alla prestatrice il 4 agosto 2017, dopo 3 giorni dall’inizio del rapporto di lavoro. Il 21 agosto successivo, la dipendente aveva comunicato il suo stato di gravidanza alla società datrice la quale, con lettera del 23 agosto 2018, le aveva intimato il licenziamento per mancato superamento dell’esperimento, senza addurre alcuna motivazione.
Il Tribunale, investito della questione, ha preliminarmente dichiarato la nullità del periodo di prova, in quanto non apposto contestualmente (o anteriormente) alla stipulazione del contratto, ma 3 giorni dopo. In tale ipotesi, come rilevato in più occasioni dalla Cassazione (si v., tra le tante, Cass. n. 21758/2010; Cass. n. 8038/2002; Cass. n. 11597/1999), la sanzione prevista è la nullità dell’atto, a cui consegue che il rapporto di lavoro assume immediatamente carattere definitivo.
Quanto al licenziamento durante la prova, i giudici milanesi ribadiscono il principio che: a) nel corso di tale periodo, entrambe le parti possono recedere ad nutum (ex art. 2118 c.c.) senza obbligo di motivazione, anche in forma orale e senza dare preavviso (art. 2096, co. 3, c. c.); b) il mancato superamento della prova integra una delle ipotesi, contemplate dall’art. 54, co.3, lett. d), D.LGS. n. 151/2001, derogatorie al divieto di licenziamento nel periodo di gravidanza; c) il datore “che risolve il rapporto di lavoro in prova con una lavoratrice di cui, all’atto del recesso, già è noto lo stato di gravidanza deve spiegare in modo motivato le ragioni che giustificano il giudizio negativo circa l’esito dell’esperimento, così da consentire alla controparte di individuare i temi della prova contraria e al giudice di svolgere un opportuno sindacato di merito sui reali motivi, al fine di escludere con ragionevole certezza che il licenziamento sia stato determinato dalla condizione di donna incinta” (così, Corte Cost. 31 maggio 1996, n. 172).
Dunque, la carenza di motivazione sull’esito negativo dell’esperimento, non consente l’operatività dell’eccezione al divieto di cui all’art. 54, co.1, D.LGS. n. 151/2001, con conseguente nullità del recesso.
Peraltro, nella fattispecie, il Tribunale ha desunto che la dipendente era stata licenziata per un motivo discriminatorio, “ossia proprio in ragione del suo stato di gravidanza”. Ciò, in ragione della stretta contiguità temporale tra la comunicazione dello stato di gravidanza e l’intimazione del recesso (la lettera di licenziamento era stata inviata 2 giorni dopo la comunicazione della lavoratrice circa il suo stato interessante); e della circostanza secondo la quale il licenziamento era stato intimato dopo sole 4 giornate di lavoro in prova, a fronte di un periodo complessivo di 60 giorni.
Il Tribunale conclude, quindi, rilevando l’inidoneità di un periodo di prova di durata così irrisoria da non consentire una adeguata valutazione circa la convenienza dell’instaurazione del rapporto di lavoro; ed il diritto della lavoratrice (trattandosi di nullità del licenziamento espressamente contemplata dall’art. 2, co. 1 e 2, D.LGS. 4 marzo 2015, n. 23 – applicabile ai lavoratori assunti dal 7 marzo 2015 -), alla tutela reale c.d. forte (reintegrazione nel posto di lavoro; pagamento di un’indennità risarcitoria, con tetto minimo di 5 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR, con detrazione dell’aliunde perceptum; versamento dei contributi previdenziali e assistenziali).