Nella disciplina del licenziamento c.d. economico, contenuta nella L. n. 92/2012 (c.d. L. Fornero), la manifesta insussistenza del fatto va ricercata nelle ragioni attinenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro ed al regolare funzionamento di essa, nonché nell’impossibilità di ricollocare altrove il lavoratore.
Nota a Cass. 25 giugno 2018 n. 16702
Flavia Durval
Le ragioni alla base del c.d. licenziamento economico sono state sintetizzate dalla Corte di Cassazione (25 giugno 2018, n. 16702) che ha formulato una serie di principi, in linea con il generale indirizzo assunto dai giudici di legittimità.
Nello specifico:
a) per la legittimità del licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo (c.d. licenziamento economico), di cui all’art. 3, L. n. 604/1966 è sufficiente che “le ragioni inerenti all’attività produttiva ed all’organizzazione del lavoro, tra le quali non è possibile escludere quelle dirette ad una migliore efficienza gestionale ovvero ad un incremento della redditività dell’impresa, determinino un effettivo ridimensionamento dell’assetto organizzativo attraverso la soppressione di una individuata posizione lavorativa”;
b) qualora, nel corso del giudizio, si accerti l’insussistenza delle ragioni alla base del recesso, ossia dell’esigenza “di fare fronte a situazioni economiche sfavorevoli ovvero a spese notevoli di carattere straordinario”, il licenziamento risulta ingiustificato per “mancanza di veridicità” e “pretestuosità della causale addotta dall’imprenditore”;
c) per la legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, “l’andamento economico negativo dell’azienda non costituisce un presupposto fattuale che il datore di lavoro debba necessariamente provare ed il giudice accertare” (Cass. n. 24882/2017, annotata in questo sito da A. LARDARO, I requisiti di legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo; n. 10697/2017; Cass. n. 25201/2016);
d) la (ritenuta) mancanza di prova circa le ragioni oggettive poste a base del licenziamento non può essere automaticamente equiparata alla manifesta insussistenza del fatto (di cui all’art. 18, co.7, Stat. Lav.), ossia alla inesistenza delle ragioni medesime; contrastando tale interpretazione con la lettera della legge e la giurisprudenza della Cassazione (cfr. Cass. n. 10435/2018, in questo sito, con nota di M.N. BETTINI e F. DURVAL, Licenziamento economico: possibile la reintegrazione se manca il repechage ; Cass. n. 17528/2017, Cass. n.14021/2016);
e) tale manifesta insussistenza, infatti, va riferita, non a qualunque ipotesi di mancanza di prova del fatto, ma ad una “chiara, evidente e facilmente verificabile (sul piano probatorio) assenza” di due fondamentali presupposti: le ragioni inerenti l’attività produttiva, l’organizzazione del lavoro ed il regolare funzionamento di essa, e l’impossibilità di ricollocare altrove il lavoratore.