Nell’ottica di non applicare la disciplina (contenuta nell’art. 2112 c.c.) che impone al cessionario dell’impresa di acquisire senza soluzione di continuità il personale impiegato nel ramo di azienda trasferito, garantendo il mantenimento dei diritti acquisiti e l’applicazione dei trattamenti economici e normativi già in essere, il legislatore ha previsto che l’acquisizione di personale già impiegato nell’appalto non comporta l’applicazione delle regole del trasferimento di azienda quando il subentro nella gestione del servizio avviene in favore di un soggetto dotato di propria struttura organizzativa e operativa e a condizione che sussistano elementi di discontinuità con il precedente appaltatore che determinino una specifica identità di impresa (in questi casi, quindi, si potrà, ad esempio, applicare un contratto collettivo diverso o si potranno ridurre le retribuzioni).
Nello specifico, l’art. 29, co. 3, D.LGS. n. 276/2003, stabilisce che: “l’acquisizione del personale già impiegato nell’appalto a seguito di subentro di nuovo appaltatore dotato di propria struttura organizzativa e operativa, in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro o di clausola del contratto d’appalto, ove siano presenti elementi di discontinuità che determinano una specifica identità di impresa, non costituisce trasferimento d’azienda o di parte d’azienda”.
Il termine “propria” non va inteso nel senso che l’appaltatore deve essere proprietario dell’azienda, potendo egli esercitare l’impresa anche in usufrutto.
Inoltre, l’utilizzo di strumenti di proprietà del committente o dell’appaltatore ad opera di dipendenti del subappaltatore non costituisce di per sé indice di non genuinità dell’appalto. Ciò che rileva è che la struttura organizzativa specifica che fa capo all’appaltatore subentrante sia autonomamente, funzionalmente e nella sua peculiare identità, finalizzata all’esecuzione di un determinato appalto. Gli elementi di “discontinuità”, che determinino una specifica identità dell’impresa subentrante nell’appalto, sono cioè rinvenibili nell’autonoma organizzazione del subentrante.
In altre parole, l’acquisizione del personale già impiegato nell’appalto a seguito di subentro di un nuovo appaltatore – in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro, o di clausola del contratto d’appalto – si traduce in una vera e propria successione di appalto e non costituisce trasferimento d’azienda o di parte d’azienda ai sensi dell’art. 2112 c.c. quando il personale impegnato nell’appalto sia «assorbito» da un’ impresa dotata di una propria struttura organizzativa ed operativa e siano presenti elementi di discontinuità nell’esecuzione del servizio che determinino una specifica identità di impresa (art. 29, co. 3, D.LGS. n. 276/2003, come riformato dall’art. 30, L. 7 luglio 2016, n. 122; v. anche Corte di Giustizia UE 20 luglio 2017, C-416/16, secondo cui il trasferimento d’azienda deve riguardare un’entità economica che conservi la propria identità dopo essere stata rilevata dal nuovo datore di lavoro).
Nei cambi di gestione, perciò, non è configurabile un trasferimento d’azienda per il solo fatto che vi sia acquisizione di personale, ma è necessario che l’attività o gestione cui è destinata la manodopera sia genuina e indicativamente “diversa all’esito del passaggio dall’uno all’altro imprenditore, di tal che non si possa sostenere che una è la sostanziale continuazione dell’altra e/o che l’acquisizione del personale ad essa adibito costituisca l’elemento essenziale, qualificante, che consente all’imprenditore subentrante di proseguire l’attività senza significative interruzioni” (L. A. COSATTINI, Successione negli appalti, cambia la legge ma non la sostanza: decisive l’identità e la continuità della gestione, RIDL, 2018, I, 36).
L’analisi deve dunque incentrarsi sull’accertamento della continuità d’impresa fra la struttura oggetto del trasferimento e quella propria del cessionario. In particolare, occorre chiarire cosa significhi che l’appaltatore deve essere dotato di una propria struttura organizzativa ed operativa e quando sia possibile riscontrare elementi di discontinuità idonei a determinare una identità d’impresa.
L’autonomia organizzativa. Per quanto attiene all’organizzazione, quale complesso di beni, persone e rapporti giuridici idoneo ad esprimere una propria capacità` produttiva, essa va necessariamente definita nel suo contenuto (più o meno materiale, immateriale e/o personale) avuto riguardo alla tipologia specifica di beni e servizi che l’imprenditore intende produrre o scambiare e verificata in concreto in un determinato e ben specifico perimetro aziendale funzionale all’esecuzione dell’appalto.
Così il fattore organizzativo (come pure l’identità di impresa) si possono desumere non solo dalla cessione di beni materiali, ma anche immateriali, compresa la metodologia organizzativa.
Può ritenersi, ad esempio, discontinuo il servizio ambientale ovvero il servizio di pulizia reso da un’ impresa subentrante che, oltre a introdurre metodi di raccolta o di pulizia differenti, organizzi e svolga la raccolta ovvero il servizio di pulizia con strumenti nuovi, ad esempio, facendo partecipare i lavoratori ad uno specifico corso di formazione; oppure, può configurarsi una struttura organizzativa specifica in capo all’appaltatore subentrante, l’acquisizione di personale che abbia ad oggetto anche solo un gruppo di dipendenti stabilmente coordinati ed organizzati tra loro, la cui capacità operativa sia assicurata dal fatto di essere dotati di un particolare know how.
La discontinuità dell’impresa. Relativamente al requisito dell’identità, essa (onde procedere al riscontro degli elementi di discontinuità con quest’ultima) non sembra riferibile all’impresa subentrante nel suo complesso – avendo riguardo cioè all’intera organizzazione di quest’ultima e non soltanto alla frazione di organizzazione che sia strumentale all’esecuzione del contratto di appalto – ma appare specificamente rivolta al ramo di azienda funzionale allo svolgimento dell’appalto, ricomprendendo (come spesso accade nei servizi a basso valore aggiunto) l’assunzione, imposta dal contratto collettivo, di un gruppo di persone organizzato e, dunque, funzionalmente autonomo, in quanto dotato della linea gerarchica necessaria alla sua operatività, sebbene caratterizzato solo dall’apporto prevalentemente personale di tutti i componenti del gruppo medesimo.
Così, non integra il requisito della discontinuità una mera variazione quantitativa dell’attività, oppure l’assorbimento non totale del personale impiegato o eventuali modifiche marginali nell’organizzazione dell’attività. Evidentemente, l’identità dell’attività economica emerge da una pluralità di elementi, quali il trasferimento o meno di elementi materiali/immateriali, della clientela ed il grado di somiglianza delle attività esercitate prima o dopo il trasferimento. E, in ogni caso, la continuità dei rapporti di lavoro va esclusa nelle ipotesi in cui il nuovo appaltatore possa realizzare l’opera o il servizio prima affidati all’appaltatore uscente, con la propria struttura, non necessitando, se non in modo marginale, dell’organizzazione e dei mezzi utilizzati in precedenza da quest’ultimo.
Diversamente, la mera riduzione quantitativa dell’attività oggetto del contratto di appalto non è riconducibile agli elementi di discontinuità che determinano una specifica identità di impresa idonea, ex art. 29, co.3, D.LGS. n. 276/2003, ad escludere la configurabilità di un trasferimento d’azienda o di parte d’azienda (così, Trib. Bologna 7 luglio 2017, ADL, 2018, 280, con nota di G. CASIELLO).
Qualora al cambio di appalto, non si applichi la disciplina in tema di trasferimento del ramo di azienda:
- i contratti di lavoro ancora in essere potranno essere ceduti al nuovo appaltatore solo previo consenso dei lavoratori interessati;
- non si potranno applicare le garanzie previste per il trasferimento di ramo di azienda (art. 2112 c.c.);
- in particolare, i dipendenti del primo appaltatore non avranno alcun diritto di vantare la continuità del rapporto nei confronti dell’appaltatore subentrante.
Diversamente, la riassunzione, in forza di un’apposita previsione di legge (come accade per i call center, con l’introduzione di una clausola sociale nel nuovo codice appalti: v. art.1, co.10, L. 20 gennaio 2016, n. 11), di contratto collettivo o di contratto di appalto, da parte di un appaltatore dotato di propria struttura organizzativa e operativa non rientra nell’art. 2112 c.c. e il rapporto che si instaura con il subentrante – privo della garanzia di conservazione dei diritti e dei trattamenti acquisiti – è un rapporto di lavoro distinto dal precedente (v. Trib. Milano 7 gennaio 2013, ADL, 2013, 630, con nota di A. LIMA).
Restano, però, le perplessità dei cambi appalto, in cui l’assunzione delle persone imposta dal contratto collettivo applicato riguarda (come spesso accade nei servizi a basso valore aggiunto) il mero passaggio di un gruppo di persone (pur se organizzato e, dunque, funzionalmente autonomo in quanto dotato della linea gerarchica necessaria alla sua operatività), ma caratterizzato solo dall’apporto prevalentemente personale di tutti i componenti del gruppo medesimo.
Circa i termini d’impugnazione in caso di successione di appalti, v. Cass. n. 13179/2017 (RGL, 2018, II, 74, con nota di F. AIELLO), secondo cui “deve escludersi che la fattispecie relativa al cambio di appalto rientri in quelle previste dall’art. 32, co. 4, della L. n. 183 del 2010, con conseguente insussistenza dell’obbligo di impugnativa nel termine di 60 giorni del licenziamento comunicato dal precedente datore di lavoro”).
Maria Novella Bettini