Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 27 giugno 2018, n. 16945
Lavoro ed occupazione, Lavoro a tempo parziale
FATTI DI CAUSA
Con sentenza in data 27 febbraio 2013, la Corte d’appello di Milano rigettava l’appello proposto da (OMISSIS) s.p.a. avverso la sentenza di primo grado, che, previo l’accertamento di nullita’ dell’articolo 24, comma 5 CCNL per il personale dipendente da societa’ e consorzi concessionari di autostrade e trafori, l’aveva condannata al pagamento, in favore del dipendente (OMISSIS) a titolo di differenze retributive (sulle voci fisse dello stipendio per il periodo 24 giugno 2005-1 giugno 2008 e sul lavoro supplementare per il periodo 24 giugno 2005-31 dicembre 2007), della somma di Euro 2.307,81 oltre accessori.
A motivo della decisione, la Corte territoriale ribadiva la spettanza della somma suindicata, per l’ingiustificato trattamento meno favorevole ricevuto dal predetto, in quanto dipendente a tempo parziale, in comparazione con un lavoratore a tempo pieno pure turnista con analogo avvicendamento, in riferimento all’applicazione (prevista dall’articolo 24 CCNL cit.) del divisore 170 (per i turnisti) soltanto per le voci di straordinario e di altre indennita’ variabili e non anche per le retributive fondamentali (fisse), come invece per i lavoratori a tempo parziale cui applicato per tutte le voci: con evidente violazione del principio di non discriminazione specificamente stabilito dal Decreto Legislativo n. 61 del 2000, articolo 4.
Avverso tale sentenza la societa’ datrice, con atto notificato il 25 (27) febbraio 2015, proponeva ricorso per cassazione con unico motivo, cui resisteva il lavoratore con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con unico motivo, la ricorrente deduce violazione del Decreto Legislativo n. 61 del 2000, articolo 4, per la sua erronea interpretazione, frutto di evidente equivoco del doveroso rispetto del principio di non discriminazione, osservato con il riconoscimento al lavoratore a tempo parziale del diritto alla medesima retribuzione oraria del lavoratore a tempo pieno in virtu’ dell’applicazione del divisore 170, con il principio di parita’ di trattamento, sulla base di una non corretta individuazione del “lavoratore a tempo pieno comparabile”, in base all’inquadramento nello stesso livello in forza dei criteri di classificazione stabiliti dai CCNL, senza tenere conto delle caratteristiche della continuita’ e dell’avvicendamento in turni dei lavoratori a tempo pieno. Ed esse dedotte anche come fatto decisivo della controversia sul quale la motivazione era stata omessa o era apparente, in assenza di rilievo del loro costituire, non gia’ “elemento/dato” riguardante semplicemente la modalita’ della prestazione lavorativa, ma “dato” sostanziale, di quantita’ della prestazione resa: quella dei lavoratori part-time inferiore alla meta’ di quella dei lavoratori a tempo pieno, tanto se resa in modo fisso, tanto se con turni continui e avvicendati (secondo la scansione di quattro giorni lavorativi e due di riposo ovvero diversa modulazione).
2. Il motivo e’ infondato.
2.1. In via preliminare, occorre rilevare l’inammissibilita’ della censura motiva, che non si colloca sul piano di un fatto da accertare, del quale sia stato omesso l’esame nei rigorosi limiti devolutivi del novellato testo dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, integranti un’anomalia motivazionale consistente in una violazione di legge costituzionalmente rilevante, concernente l’esistenza della motivazione in se’, che si esaurisca nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 10 febbraio 2015, n. 2498; Cass. 26 giugno 2015, n. 13189; Cass. 21 ottobre 2015, n. 21439). La Corte territoriale ha, tra l’altro, argomentato la correttezza dell’individuazione del “lavoratore a tempo pieno comparabile”, in base all’inquadramento nello stesso livello in forza dei criteri di classificazione stabiliti dai CCNL e non gia’ alle caratteristiche della continuita’ e dell’avvicendamento in turni dei lavoratori a tempo pieno (per le ragioni esposte dall’ultimo capoverso di pg. 3 al secondo di pg. 4 della sentenza), sia pure per relationem ad arresto di legittimita’: peraltro cosi’ pienamente assolvendo al proprio obbligo motivazionale, posto che il percorso argomentativo consente di comprendere la fattispecie concreta, l’autonomia del processo deliberativo compiuto e la riconducibilita’ dei fatti esaminati al principio di diritto richiamato e soltanto in difetto di tali requisiti minimi sussistendo la totale carenza di motivazione e la conseguente nullita’ del provvedimento (Cass. 9 maggio 2017, n. 11227; Cass. 3 giugno 2016, n. 11508).
2.2. Nel merito, deve essere dato seguito all’indirizzo ormai consolidato di legittimita’ secondo cui, in tema di lavoro a tempo parziale, il rispetto del principio di non discriminazione stabilito dal Decreto Legislativo n. 61 del 2000, articolo 4, attuativo della direttiva 97/81/CE relativa all’accordo-quadro sul lavoro a tempo parziale, comporta che il lavoratore in regime di part-time non debba ricevere un trattamento meno favorevole rispetto al lavoratore a tempo pieno comparabile, da individuare esclusivamente in quello inquadrato nello stesso livello in forza dei criteri di classificazione stabiliti dai contratti collettivi richiamati dall’art- 1, comma 3 dello stesso decreto (contratti collettivi nazionali stipulati dai sindacati comparativamente piu’ rappresentativi, contratti collettivi territoriali stipulati dai medesimi sindacati e contratti collettivi aziendali stipulati dalle rappresentanze sindacali aziendali, a norma della L. n. 300 del 1970, articolo 19 e succ. mod.): con la conseguenza, ai fini della suddetta comparazione, dell’inammissibilita’ di criteri alternativi, quale quello del sistema della turnazione continua ed avvicendata seguita dai lavoratori a tempo pieno, tali da escludere l’applicazione, cosi’ come ai predetti, del divisore 170 ai soli elementi retributivi a carattere variabile (Cass. 20 agosto 2011, n. 17726; Cass. 28 luglio 2011, n. 16588; Cass. 14 novembre 2014, n. 24333; Cass. 15 ottobre 2015, n. 20843; Cass. 24 novembre 2017, n. 28097).
3. Dalle superiori argomentazioni discende coerente il rigetto del ricorso, con la regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza e distrazione al difensore antistatario, secondo la sua richiesta.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna (OMISSIS) s.p.a. alla rifusione, in favore del controricorrente, alle spese del giudizio, che liquida in Euro 200,00 per esborsi e Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali 15% e accessori di legge, con distrazione al difensore antistatario.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13 comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso articolo 13.