Il Tribunale di Roma fornisce una prima lettura del nuovo testo dell’art. 4 Stat. Lav., ribadendo che la posta elettronica è strumento per rendere la prestazione lavorativa e che, per essere controllata, necessita di chiarimenti approfonditi ai lavoratori.
Nota a Trib. Roma, Sez. Lav., ord. 13 giugno 2018, dott. Conte (R.G. n. 28354/2017)
Gennaro Ilias Vigliotti
La circostanza della natura strettamente lavorativa dello strumento utilizzato dal dipendente e dal quale il datore tragga informazioni utili al controllo della prestazione non basta a “spogliare” quest’ultimo da ogni adempimento formale. Come chiarito dal co. 3 dell’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori (introdotto nel 2015 dal D.LGS. n. 151), infatti, anche agli strumenti di lavoro dai quali derivi il controllo sui lavoratori si applica l’obbligo di informativa, analitica e specifica, circa le modalità e le caratteristiche del controllo esperito dal datore, nonché quello di rispetto della disciplina in materia di riservatezza e privacy. Ciò implica, dunque, che in caso di riconoscimento della natura lavorativa degli strumenti di controllo, l’unica conseguenza “di favore” per le aziende è la possibilità di omettere la complessa procedura autorizzativa, sindacale o amministrativa, prevista al co. 1 della medesima norma.
I princìpi appena espressi sono stati enunciati, di recente, da un arresto del Tribunale di Roma, Sez. Lavoro, che ha conosciuto la legittimità del licenziamento di un dipendente di nota azienda di consulenza la quale aveva proceduto al recesso dopo aver appurato, dal contenuto di alcune mail di lavoro inviate proprio dal dipendente, che questi aveva compiuto diverse falsificazioni documentali, con nocumento degli interessi aziendali.
Il lavoratore aveva impugnato il licenziamento deducendo l’inutilizzabilità delle informazioni utilizzate per accusarlo, in quanto prelevate in violazione della normativa sui controlli a distanza. L’azienda, dal canto suo, aveva depositato in giudizio la propria policy aziendale, che assumeva essere sufficientemente analitica anche in materia di modalità e caratteristiche della supervisione sulla posta elettronica utilizzata a fini lavorativi.
Il Giudice del Lavoro, però, ha deciso in favore del dipendente, affermando che la semplice previsione di una policy aziendale con al proprio interno le principali regole da seguire durante l’orario di lavoro e durante l’esecuzione della prestazione dedotta in contratto non può bastare, da sola, a soddisfare l’obbligo imposto al co. 3 dell’art. 4 dello Statuto. In tale norma, infatti, la legge richiede una “adeguata informazione delle modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli”, oltre al rispetto delle regole e dei principi contenuti nel D.LGS. n. 196/2003 (c.d. “Codice della Privacy”).
Ebbene, in base a tale considerazione, una policy aziendale interna che non indichi in maniera puntuale da quali strumenti può derivare il controllo sui lavoratori ed in che modo tale controllo viene esperito, limitandosi, invece, ad affermazioni generiche ed onnicomprensive, non può essere considerato mezzo idoneo a soddisfare le prescrizioni dello Statuto, cioè a rappresentare una “adeguata informazione” ai sensi del co. 3 dell’art. 4 Stat. Lav.
In tale quadro, dati prelevati senza la necessaria copertura di simili precauzioni procedurali non possono che essere – come nel caso di specie – considerati inutilizzabili per la prova di un comportamento disciplinarmente rilevante, con la conseguenza che, se essi costituivano l’unica fonte di accertamento di un licenziamento in possesso del datore, verrà meno la stessa sussistenza dell’addebito che ha condotto alla sua intimazione nei confronti del dipendente responsabile.
Inoltre, come stabilito dal Giudice nell’ordinanza in commento “[…] se l’informazione raccolta è come tale inutilizzabile siccome prescritto dal comma 3, risulta altresì inutilizzabile la conferma del fatto quale offerta dal teste che, a sua volta, ne abbia tratto conoscenza dal trattamento illecito del dato”: ciò implica che l’inutilizzabilità dell’informazione illegittimamente prelevata vale non solo per l’azienda convenuta in giudizio, ma anche per il testimone che, durante la prova testimoniale, affermi di aver avuto cognizione di una circostanza di fatto rilevante per il licenziamento proprio dal prelievo non regolare di informazioni oggetto di controllo.