La rivendicazione di un ccnl diverso da quello applicato al rapporto di lavoro è ammissibile solo se il ccnl applicato sia complessivamente (e non limitatamente ad alcune clausole) inadeguato rispetto all’attività lavorativa svolta e solo per stabilire il minimo retributivo.
Nota a App. Roma 26 giugno 2018, n. 2637
Mariapaola Boni
La presenza di un contratto collettivo regolarmente applicato dalle parti esclude la possibilità di utilizzare i minimi contrattuali previsti da un diverso ccnl, il quale può costituire un parametro per individuare la retribuzione equa e sufficiente esclusivamente qualora venga dimostrato, con onere a carico del lavoratore, che il ccnl applicato sia complessivamente (e non limitatamente ad alcune clausole) inadeguato rispetto all’attività lavorativa svolta.
Solo in presenza di tale rigorosa dimostrazione, il Giudice può liquidare eventuali differenze retributive, anche in via equitativa ai sensi dell’art. 432 c.p.c., qualora sia impossibile quantificare le somme dovute per l’applicazione di un diverso ccnl.
È quanto affermato dalla Corte di Appello di Roma (26 giugno 2018, n. 2637), in riforma della sentenza impugnata dalla società, la quale non aveva fatto corretta applicazione dei richiamati principi in materia di applicazione del contratto collettivo di diritto comune e liquidazione equitativa delle somme.
Nel caso di specie, il lavoratore aveva rivendicato delle differenze retributive limitandosi a dedurre che il ccnl applicato al rapporto di lavoro (Servizi di Pulizia) non prevedeva le mansioni di operatore socio sanitario che egli assumeva di aver svolto, ulteriori a quelle di pulizia dei locali oggetto del contratto.
La Corte di Appello ha ritenuto tale allegazione del tutto insufficiente a sostenere la domanda, poiché era limitata ad un solo aspetto delle obbligazioni previste dal ccnl applicato (come detto, le mansioni), senza alcuna valutazione complessiva del trattamento contrattuale applicato dalla società, dal quale poter desumere l’inadeguatezza del ccnl dei Servizi di Pulizia.
In particolare, la Corte, conformandosi all’orientamento giurisprudenziale maggioritario (v. per tutte Cass., S.U., 26 marzo 1997, n. 2665), ha evidenziato che la presenza di un contratto collettivo regolarmente applicato dalle parti esclude la possibilità di invocare i minimi contrattuali previsti da un diverso ccnl.
Il contratto collettivo può costituire, infatti, un parametro per individuare la retribuzione equa e sufficiente ai sensi dell’art. 36 Cost. esclusivamente nelle ipotesi – diverse dal caso esaminato – in cui il datore di lavoro non applichi alcun contratto collettivo, non aderisca ad un sindacato, ovvero quando venga dimostrato che il ccnl applicato sia complessivamente (e non limitatamente ad alcune clausole) inadeguato rispetto all’attività lavorativa svolta.
In tali ipotesi, peraltro, il lavoratore non può aspirare all’applicazione integrale del diverso contratto collettivo, ma solo fare riferimento a tale disciplina per la determinazione della retribuzione minima ex art. 36 Cost.
Quanto alla ripartizione dell’onere probatorio, la Corte di Appello ha affermato che spetta al lavoratore dimostrare l’inadeguatezza della retribuzione percepita in base alla quantità e qualità del lavoro svolto (v. Cass. 8 gennaio 2002, n. 1329). Infatti, la retribuzione prevista dal contratto collettivo è assistita da una presunzione relativa (iuris tantum) di adeguatezza e, pertanto, il lavoratore deve fornire la prova rigorosa della lamentata insufficienza (Cass. 17 maggio 2003, n. 7752).
Per tali ragioni, la Corte di Appello, in riforma della sentenza impugnata, ha ritenuto illegittima la liquidazione disposta dal Tribunale di Roma, in via equitativa, in favore del lavoratore, per il solo fatto di aver svolto mansioni non espressamente contemplate nel ccnl Servizi di Pulizia, ricomprese invece nel diverso ccnl ANAPS.
In particolare, la Corte ha evidenziato che alla liquidazione equitativa si può accedere esclusivamente quando il diritto fatto valere in giudizio risulti certo, ma sia impossibile determinare la quantificazione delle somme. Inoltre, nell’esercizio di tale potere discrezionale il giudice è tenuto a dare congrua ragione del processo logico attraverso il quale perviene alla liquidazione del “quantum debeatur“, indicando i criteri oggettivi assunti a base del procedimento valutativo (v. Cass. 6 maggio 2009, n. 10401, nonché Cass. 20 febbraio 2018, n. 4076).
Nel caso esaminato dalla Corte di Appello, il credito rivendicato dal lavoratore non risultava in alcun modo dimostrato (anzi, anche il Giudice di prime cure aveva espressamente escluso l’applicabilità di un diverso ccnl), con la conseguenza che la liquidazione equitativa non poteva legittimamente trovare applicazione per il solo svolgimento di attività non espressamente ricomprese nella declaratoria contrattuale.
Conseguentemente, la Corte di Appello ha rigettato le domande del lavoratore, condannandolo alla rifusione delle spese del doppio grado di giudizio.