L’impresa deve effettuare le comunicazioni previste a conclusione della mobilità anche nell’ipotesi di cessazione dell’attività aziendale.
Nota a Cass.,ord.,19 giugno 2018, n. 16145
Fulvia Rossi
In caso di integrale cessazione dell’attività, la comunicazione finale ai sindacati circa il numero e la qualifica del personale licenziato collettivamente nonché le modalità di applicazione dei criteri di scelta è essenziale e non può essere ritardata.
È quanto affermato dalla Corte di Cassazione (19 giugno 2018, n. 16145), la quale, in linea con l’indirizzo giurisprudenziale dominante, assimila la cessazione di attività d’impresa alle ipotesi di licenziamento collettivo per “riduzione o trasformazione di attività o di lavoro”.
La Corte sottolinea che la “procedimentalizzazione” dei licenziamenti collettivi secondo le regole dettate per il collocamento dei lavoratori in mobilità dall’art. 4, L. n. 223/1991, applicabili alla fattispecie della riduzione di personale per effetto dell’art. 24 della legge medesima, ed in particolare l’obbligo di comunicazione dei criteri della scelta (art. 4, co. 9, L. n. 223 cit.), “hanno la funzione di consentire il controllo sindacale sulla effettività della scelta medesima, allo scopo di evitare elusioni del dettato normativo concernente i diritti dei lavoratori alla prosecuzione del rapporto nel caso in cui la cessazione dell’attività dissimuli la cessione dell’azienda o la ripresa dell’attività stessa sotto diversa denominazione o in diverso luogo” (v. Cass. n.13297/2007; Cass. n.15643/2005).
La comunicazione va pertanto a effettuata secondo una procedura “temporalmente cadenzata in modo rigido ed analitico, e con termini molto ristretti” (Cass. n. 7490/2011; Cass. n. 1722/2009). Ciò, allo scopo di consentire al sindacato (e, tramite questo, anche ai singoli lavoratori) il controllo sulla correttezza dell’applicazione (da parte del datore di lavoro) dei menzionati criteri, l’immediata verifica della effettività della cessazione dell’attività aziendale e la possibilità di sollecitare, prima dell’impugnazione del recesso in sede giudiziaria, la revoca del licenziamento intimato in loro violazione.
Ragionando diversamente, evidenzia il Collegio, si creerebbe l’irragionevole situazione per cui al fine di non incorrere in una decadenza dal termine di cui all’art. 6 L. n. 604/1966, il lavoratore deve impugnare il licenziamento senza conoscere preventivamente i criteri di scelta (Cass. n. 22024/2015 e n. 8680/2015).