Licenziabile il dipendente che, nel corso di un acceso diverbio, sferra un pugno al responsabile aziendale.
Nota a Cass. 17 luglio 2018, n. 19013
Osvaldo Landolfi
La mancata sussunzione nella giusta causa di licenziamento del comportamento di un lavoratore che, nel corso di una lite, aggredisca il superiore gerarchico, procurandogli lesioni personali accertate in pronto soccorso (trauma facciale e contusioni multiple con prognosi di cinque giorni), è erronea.
Tale condotta, infatti, nella elaborazione della Cassazione, non può non ricondursi, anche con riferimento alla violazione del cd. minimum etico, alla nozione di causa così grave da non consentire la prosecuzione del rapporto, neppure provvisoriamente, di cui all’art. 2119 c.c.
È quanto affermato dalla Corte di Cassazione (17 luglio 2018, n. 19013) in relazione al caso di un lavoratore che, a fronte del rimprovero del superiore circa il mancato rispetto di un ordine di servizio inerente l’orario di lavoro, aveva negato con veemenza di aver ricevuto tale ordine, instaurando un acceso diverbio con il responsabile aziendale, aggredendolo, e costringendolo a ricorrere alle cure del pronto soccorso.
Il datore di lavoro aveva impugnato la sentenza di App. Firenze (6 ottobre 2015), che, ridimensionando il fatto contestato, lo aveva ritenuto punibile dalla contrattazione collettiva (settore tessile) con sanzione non espulsiva, e, pertanto, aveva dichiarato illegittimo il licenziamento, ordinando la reintegrazione del lavoratore ex art. 18 Stat. Lav.
La Corte di Cassazione, nel cassare la richiamata sentenza, precisa, in linea con il consolidato indirizzo della giurisprudenza di legittimità, che la giusta causa di licenziamento configura una norma elastica, in quanto l’art. 2119 c.c. è “una disposizione di contenuto precettivo ampio e polivalente destinato ad essere progressivamente precisato, nell’estrinsecarsi della funzione nomofilattica della Corte di Cassazione, fino alla formazione del diritto vivente mediante puntualizzazioni, di carattere generale ed astratto”. E, nell’ambito di tale funzione, il comportamento violento (quale il diverbio sfociato in aggressione fisica), la cui gravità, oggettivamente e soggettivamente considerata, leda irreparabilmente il vincolo fiduciario alla base del rapporto di lavoro,configura una giusta causa di licenziamento.
(V. anche Cass. 6 novembre 2017, n. 26273, relativa al licenziamento in tronco di un dipendente che, per le intemperanze e le minacce profferite, aveva creato turbamento e timori tra il personale. Al riguardo, i giudici hanno rilevato che la gravità della sua condotta assumeva rilevanza anche ai fini degli obblighi gravanti sul datore di lavoro ex art. 2087 c.c. di garantire l’integrità fisica e morale dei dipendenti e la serenità nei rapporti interpersonali sul luogo di lavoro; in questo sito, F. Iacobone, Elementi della giusta causa; S. Rossi, Giusta causa di licenziamento).