In relazione alla qualificazione del rapporto di lavoro dei cosiddetti “riders” di Foodora, l’assenza dell’obbligo di effettuare la prestazione lavorativa costituisce già di per sé un indice idoneo ad escludere il vincolo di subordinazione.

Nota a Trib. Torino 7 maggio 2018, n. 778

Annarita Lardaro

I lavoratori di Foodora, piattaforma digitale di consegne di “food and beverage” a domicilio, non possono essere qualificati come subordinati, in quanto, nell’esecuzione della loro prestazione di lavoro, non sono sottoposti al potere direttivo, disciplinare e di controllo del datore di lavoro.

È quanto ha stabilito il Tribunale di Torino con la pronuncia n. 778 del 7 maggio 2018.

Il procedimento è stato originato dal ricorso proposto da alcuni fattorini di Foodora, i quali avevano adito il Giudice di prime cure chiedendo l’accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro con la Società datrice di lavoro, in luogo dei contratti di collaborazione coordinata e continuativa ad essi applicati, con condanna, dunque, dell’azienda alla corresponsione delle differenze retributive, al ripristino del rapporto di lavoro dalla data del licenziamento, al risarcimento per violazione da parte di Foodora della normativa sulla privacy ed, infine, al risarcimento del danno per violazione delle norme sulla sicurezza dei lavoratori.

Il Tribunale di Torino, nel pronunciarsi sul caso, ha preliminarmente analizzato la modalità con cui si è estrinsecato il rapporto di lavoro tra le parti, rilevando che la gestione dello stesso avveniva mediante delle piattaforme multimediali su cui l’azienda indicava il numero di riders necessari a coprire ogni turno. Ciascun rider, osserva l’autorità giudiziaria, poteva o meno fornire la propria disponibilità al turno, ma non era obbligato a farlo, avendo la possibilità di rifiutarsi.

Al riguardo, il Tribunale ha applicato il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo il quale “costituisce requisito fondamentale del rapporto di lavoro subordinato – ai fini della sua distinzione dal rapporto di lavoro autonomo – il vincolo di soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, il quale discende dall’emanazione di ordini specifici, oltre che dall’esercizio di una assidua attività di vigilanza e controllo dell’esecuzione delle prestazioni lavorative” (tra le tante, v. Cass. 8 febbraio 2010, n. 2728); inoltre, la Cassazione ha affermato, in una fattispecie similare, che la “non obbligatorietà” della prestazione lavorativa esclude in radice la subordinazione perché “la configurabilità dell’”eterodirezione” contrasta con l’assunto secondo cui la parte che deve rendere la prestazione può, a suo libito, interrompere il tramite attraverso il quale si estrinseca il potere direttivo dell’imprenditore” (Cass. n. 7608/1991).

Passando poi agli altri indici della subordinazione, è stata esclusa, altresì, la sussistenza di un costante e penetrante potere di controllo sull’operato dei fattorini. Difatti, secondo il Giudice, le telefonate di sollecito che Foodora poteva effettuare ai riders rientrano nella natura della prestazione stessa e nel servizio offerto dalla piattaforma che prevede la celerità e l’immediatezza nelle consegne.

Tali telefonate, dunque, non possono, secondo Il Tribunale, essere considerate “esercizio di una assidua attività di vigilanza e controllo dell’esecuzione delle prestazioni lavorative”, come, invece, richiesto dalla giurisprudenza della Cassazione ai fini del riconoscimento della subordinazione.

Infine, per quanto attiene al potere disciplinare, il Giudice non ha ritenuto che Foodora applicasse ai fattorini le sanzioni disciplinari così come previste dall’art. 7 della L. n. 300/1970, né l’esclusione dalla chat aziendale o dai turni di lavoro è stata ritenuta inquadrabile in dette fattispecie, non avendo i ricorrenti alcun diritto ad essere inseriti nelle turnazioni o nelle conversazioni aziendali.

La sentenza in esame costituisce di un importante precedente giurisprudenziale, che non ha mancato di sollevare obiezioni, dando vita ad un acceso dibattito.

Di certo, il contenzioso dei dipendenti della “gig economy” (letteralmente “economia dei lavoretti”) è destinato a crescere negli anni a venire, in particolare per la posizione di strutturale debolezza economica in cui versano i cosiddetti “platform workers”, intendendosi per tali quei lavoratori che mettono a disposizione le proprie energie lavorative in favore di piattaforme digitali (tali sono, ad esempio, i lavoratori di Uber, Amazon Turk, Task Rabbit, ecc.).

È evidente che il diritto del lavoro dovrà adeguarsi a queste emergenti forme di prestazioni lavorative, le quali vanno a costituire una “zona grigia” a cavallo tra autonomia e subordinazione, a cui le vecchie categorie concettuali non sempre riescono a fornire tutela; e per le quali andranno, invece, probabilmente messi a punto nuovi strumenti normativi in grado di offrire un sistema di protezione, soprattutto sotto il profilo dei minimi retributivi garantiti ai “platform workers”, che sia adatto a tali nuove forme di organizzazione del lavoro, dando anche spazio alla contrattazione sindacale in questo campo (come, ad esempio, avvenuto in Belgio con l’accordo “Smart-Deliveroo”.

(Per un approfondimento del dibattito sulla “gig economy”, si v. per tutti, P. ICHINO, “I diritti del lavoro nella gig economy”, in lavoceinfo.it; P. TULLINI, “Quali regole per il lavoratore-utente del web? Scambio economico e tutele, in Web e lavoro; R. VOZA, “Il lavoro e le piattaforme digitali: the same old story”, in WP “Massimo D’Antona” 335/17).

I riders di Foodora non possono essere considerati lavoratori subordinati
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