L’indicazione generica delle modalità temporali della prestazione a tempo parziale è nulla e legittima il giudice a fissare la collocazione dell’orario di lavoro.
Nota a Trib. Milano 1 giugno 2018, n. 1201
Annarita Lardaro
Al fine di contemperare le esigenze del datore di lavoro con quelle del lavoratore, la durata della prestazione lavorativa a tempo parziale e della collocazione dell’orario di lavoro vanno indicate in modo specifico a pena di nullità o, comunque, di inefficacia.
Il principio è affermato dal Tribunale di Milano (1 giugno 2018, n. 1201), il quale precisa che il legislatore ritiene essenziale la puntuale e specifica indicazione della durata della prestazione lavorativa e della collocazione dell’orario nell’ottica di dare adeguata rilevanza alle “responsabilità familiari del lavoratore, alla sua necessità di integrazione del reddito mediante lo svolgimento di altra attività lavorativa, nonché alle esigenze del datore di lavoro”.
Tale rigorosa predeterminazione dell’orario lavorativo e la sua tendenziale invarianza, osserva il Collegio, deve essere effettiva e derogabile solo a fronte di “ben determinate esigenze contingenti”, in modo da non frustrare la possibilità del dipendente di gestire il tempo del non lavoro e gli spazi per altre eventuali attività la cui programmabilità, da parte del lavoratore, deve essere salvaguardata, anche al fine di consentirgli di percepire, con più rapporti a tempo parziale, una retribuzione complessiva sufficiente ex art. 36 Cost.
La materia, come noto, è disciplinata dal D.LGS. n. 81/2015 che, all’art. 6, co. 4 ss., stabilisce: “4. Nel rispetto di quanto previsto dai contratti collettivi, le parti del contratto di lavoro a tempo parziale possono pattuire, per iscritto, clausole elastiche relative alla variazione della collocazione temporale della prestazione lavorativa ovvero relative alla variazione in aumento della sua durata. 5. Nei casi di cui al comma 4, il prestatore di lavoro ha diritto a un preavviso di due giorni lavorativi, fatte salve le diverse intese tra le parti, nonché a specifiche compensazioni, nella misura ovvero nelle forme determinate dai contratti collettivi. 6. Nel caso in cui il contratto collettivo applicato al rapporto non disciplini le clausole elastiche queste possono essere pattuite per iscritto dalle parti avanti alle commissioni di certificazione, con facoltà del lavoratore di farsi assistere da un rappresentante dell’associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato o da un avvocato o da un consulente del lavoro. Le clausole elastiche prevedono, a pena di nullità, le condizioni e le modalità con le quali il datore di lavoro, con preavviso di due giorni lavorativi, può modificare la collocazione temporale della prestazione e variarne in aumento la durata, nonché la misura massima dell’aumento, che non può eccedere il limite del 25 per cento della normale prestazione annua a tempo parziale. Le modifiche dell’orario di cui al secondo periodo comportano il diritto del lavoratore ad una maggiorazione del 15 per cento della retribuzione oraria globale di fatto, comprensiva dell’incidenza della retribuzione sugli istituti retributivi indiretti e differiti. 7. Al lavoratore che si trova nelle condizioni di cui all’articolo 8, commi da 3 a 5, ovvero in quelle di cui all’articolo 10, primo comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300, è riconosciuta la facoltà di revocare il consenso prestato alla clausola elastica. 8. Il rifiuto del lavoratore di concordare variazioni dell’orario di lavoro non costituisce giustificato motivo di licenziamento”.
Ai sensi poi dell’art. 10, co.2 e 3, D.LGS. n. 81/2015: “2. Qualora nel contratto scritto non sia determinata la durata della prestazione lavorativa, su domanda del lavoratore è dichiarata la sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo pieno a partire dalla pronuncia. Qualora l’omissione riguardi la sola collocazione temporale dell’orario, il giudice determina le modalità temporali di svolgimento della prestazione lavorativa a tempo parziale, tenendo conto delle responsabilità familiari del lavoratore interessato e della sua necessità di integrazione del reddito mediante lo svolgimento di altra attività lavorativa, nonché delle esigenze del datore di lavoro. Per il periodo antecedente alla pronuncia, il lavoratore ha in entrambi i casi diritto, in aggiunta alla retribuzione dovuta per le prestazioni effettivamente rese, a un’ulteriore somma a titolo di risarcimento del danno. 3. Lo svolgimento di prestazioni in esecuzione di clausole elastiche senza il rispetto delle condizioni, delle modalità e dei limiti previsti dalla legge o dai contratti collettivi comporta il diritto del lavoratore, in aggiunta alla retribuzione dovuta, a un’ulteriore somma a titolo di risarcimento del danno”.