La residenza fiscale all’estero per almeno due periodi di imposta costituisce il periodo minimo sufficiente ad integrare il requisito della non residenza nel territorio dello Stato e a consentire, quindi, l’accesso al regime agevolativo previsto per i lavoratori impatriati.
Nota AdE Ris., 6 luglio 2018, n. 51/E
L’Agenzia delle Entrate, con la risoluzione n. 51/E del 6 luglio 2018, ha fornito ulteriori chiarimenti ai lavoratori che vogliono accedere al regime di favore previsto dall’art. 16 del D.LGS. 14 settembre 2015, n. 147 (regime speciale dei lavoratori impatriati). In base ad esso il reddito di lavoro dipendente e, dal 2017, anche quello di lavoro autonomo, prodotto in Italia da lavoratori (italiani o stranieri) che vi trasferiscono la residenza, concorre alla formazione del reddito complessivo limitatamente al 50% (70% solo nel 2016) del suo ammontare. Tale regime trova attuazione a decorrere dal periodo d’imposta in cui è avvenuto il trasferimento della residenza in Italia e per i 4 periodi d’imposta successivi.
Chiara è la ratio della norma: favorire il rientro in Italia dei lavoratori residenti all’estero.
Per poter beneficiare della suddetta agevolazione i soggetti che rientrano in Italia devono essere in possesso dei requisiti previsti, in via alternativa, dal co. 1 e dal co. 2 della disposizione suindicata.
In particolare, ai sensi dell’art. 16, co.1 del D.LGS. n. 147/2015, possono accedere al regime agevolativo solo i lavoratori che:
- non sono stati residenti in Italia nei 5 periodi di imposta precedenti il predetto trasferimento e si impegnano a permanervi per almeno 2 anni;
- svolgono la propria attività lavorativa prevalentemente nel territorio italiano presso un’impresa residente nel territorio dello Stato in forza di un rapporto di lavoro instaurato con questa o con società che direttamente o indirettamente controllano la medesima impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa;
- rivestono ruoli direttivi ovvero sono in possesso di requisiti di elevata qualificazione o specializzazione.
Il co. 2 dell’art. 16 del D.LGS. n. 147/2015, invece, estende tale regime ai cittadini UE e, dal 2017, a quelli di Stati extra UE con i quali è in vigore una convenzione per evitare le doppie imposizioni o un accordo sullo scambio di informazioni in materia fiscale, che soddisfano uno dei seguenti requisiti:
- sono in possesso di un titolo di laurea e hanno svolto continuativamente un’attività di lavoro dipendente, ovvero autonomo oppure d’impresa fuori dall’Italia negli ultimi 24 mesi o più;
- hanno svolto continuativamente un’attività di studio fuori dall’Italia negli ultimi 24 mesi o più, conseguendo un titolo di laurea ovvero una specializzazione post lauream.
Il tenore letterale delle norme menzionate poneva il dubbio circa il periodo di permanenza all’estero dei soggetti in possesso dei requisiti di cui al co. 2 del citato art. 16. Mentre per i soggetti di cui al co. 1 il periodo minimo di residenza all’estero è indicato espressamente dalla norma e corrisponde a 5 periodi di imposta precedenti il trasferimento; per i soggetti di cui al co. 2 non è previsto nulla. Questa era la situazione che ha dato origine alla risoluzione in esame: l’Agenzia delle Entrate era stata, infatti, interpellata da un lavoratore trasferitosi in Italia dopo aver lavorato all’estero (in Svizzera) solo per 2 periodi di imposta (2015-2017) ed essersi iscritto all’anagrafe della popolazione residente all’estero.
Secondo l’Agenzia, posto che il suddetto co. 2 stabilisce che i destinatari della agevolazione in esame devono aver svolto un’attività di lavoro/studio all’estero per almeno 2 anni antecedenti al trasferimento della residenza fiscale in Italia, ne discende che “la residenza all’estero per almeno due periodi di imposta costituisca il periodo minimo sufficiente ad integrare il requisito della non residenza nel territorio dello Stato e a consentire, pertanto, l’accesso al regime agevolativo”.
La risoluzione rammenta inoltre che, ai sensi dell’art. 2 del TUIR, si considerano fiscalmente residenti in Italia “le persone fisiche che, per almeno 183 giorni (o 184 giorni in caso di anno bisestile), sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile”.
Pertanto, i soggetti in possesso dei requisiti previsti dal co. 2 dell’art. 16 del D.LGS. n.147/2015 possono avvalersi del regime speciale dei lavoratori impatriati a condizione che nei 2 periodi d’imposta precedenti al trasferimento in Italia, non risultino iscritti nelle anagrafi della popolazione residente né abbiano avuto nel territorio dello Stato il centro principale dei propri affari o interessi o la propria dimora abituale.
In aggiunta ai chiarimenti forniti dalla risoluzione in esame, giova richiamare il recente chiarimento reso dal Ministero dell’Economia e delle Finanze ai fini del calcolo del termine biennale di cui al citato art. 16.
Il Ministero, in risposta all’interrogazione parlamentare n. 5-00285 del 31 luglio 2018, dopo aver richiamato la Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 17/E del 2017, secondo cui ai fini dell’accesso al regime degli impatriati è sufficiente che l’interessato abbia svolto attività di lavoro o studio all’estero “per un periodo minimo ed ininterrotto di almeno ventiquattro mesi”, ha chiarito che il requisito della continuità dell’attività di lavoro svolta all’estero possa ritenersi soddisfatto anche nel caso di cambio del posto di lavoro che determini una interruzione tra un contratto e l’altro dovuta al solo fatto che tra il termine del primo contratto di lavoro e l’inizio del nuovo rapporto siano intercorsi solamente giorni festivi.
Il Ministero precisa però che trattasi di una soluzione strettamente legata al caso di specie e che “a diverse conclusioni, può, invece, giungersi in situazioni diverse da quella specificamente rappresentata, trattandosi di valutare le singole circostanze alla luce della ratio della disciplina agevolativa”.
Marialuisa De Vita