I lavoratori autonomi possono proseguire volontariamente l’attività dopo la maturazione della pensione senza subire decurtazioni dell’assegno in caso di riduzione del reddito percepito.
Nota a Corte Cost. 23 luglio 2018, n. 173
Alfonso Tagliamonte
Il lavoratore autonomo che opti per la prosecuzione dell’attività lavorativa (anziché accedere al trattamento pensionistico e svolgere successivamente l’attività conseguendo, attraverso l’ulteriore contribuzione, supplementi della pensione o la pensione supplementare), non può subire una diminuzione del quantum determinabile alla data di maturazione dei requisiti per l’accesso al trattamento pensionistico.
È pertanto costituzionalmente illegittima, in riferimento agli artt. 3, co.1 e 2, 35, co.1, e 38, co.1 e 2, Cost., la normativa sul trattamento pensionistico dei lavoratori autonomi (art. 5, co.1, L. 2 agosto 1990, n. 233 – Riforma dei trattamenti pensionistici dei lavoratori autonomi – e art. 1, co. 18, L. 8 agosto 1995, n. 335 – Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare -), “nella parte in cui, ai fini della determinazione delle rispettive quote del complessivo trattamento pensionistico, non prevedono, nel caso di prosecuzione della contribuzione da parte dell’assicurato lavoratore autonomo iscritto alla gestione speciale dell’INPS, che abbia già conseguito la prescritta anzianità contributiva minima, che la pensione liquidata non possa essere inferiore a quella che sarebbe spettata al raggiungimento dell’età pensionabile”.
La Corte costituzionale (23 luglio 2018, n. 173) conferma l’ordinanza 13 luglio 2017 di App. Trieste, in merito alla determinazione del trattamento pensionistico di un lavoratore (agente di commercio) che aveva conseguito la pensione di vecchiaia dal 1° luglio 2010, ottenuta con il cumulo della contribuzione versata, prima come lavoratore dipendente e poi come lavoratore autonomo-commerciante, e che aveva proseguito l’attività lavorativa. Tuttavia, a seguito della riduzione del reddito prodotto in tale periodo di prosecuzione dell’attività, l’importo pensionistico determinato dall’INPS (in quanto calcolato relativamente alle ultime annualità di reddito prodotto antecedenti al pensionamento) era risultato inferiore a quello determinabile in riferimento alla data di maturazione del requisito pensionistico. Sicché, l’interessato aveva richiesto all’ente previdenziale di rideterminare il trattamento liquidatogli (escludendo dal computo la contribuzione successiva al 31 dicembre 2007, data in cui aveva maturato il requisito minimo contributivo). Ciò, in ragione del c.d. principio della sterilizzazione (o anche neutralizzazione), più volte affermato dalla Corte Costituzionale, secondo cui la contribuzione acquisita successivamente al perfezionamento del requisito per l’accesso alla pensione, ove comporti la riduzione dell’importo della prestazione calcolabile a tale data, deve essere “neutralizzata” ai fini del calcolo della pensione (v. sentenze n. 433/ 1999, n. 388/ 1995, n. 264/1994, n. 428/1992, n. 307/1989 e n. 822/1988).
I giudici, in particolare, precisano che le diversificazioni fra lavoro autonomo e privato non ostacolano l’applicazione del principio, di valenza generale (che si impone nell’ordinamento pensionistico al di là del pluralismo delle gestioni e dei regimi), della esclusione dei contributi dannosi anche alle gestioni previdenziali dei lavoratori autonomi iscritti all’INPS, essendo “irragionevole che il versamento di contributi correlati all’attività lavorativa prestata dopo il conseguimento del requisito per accedere alla pensione, anziché assolvere alla funzione fisiologica e naturale di incrementare il trattamento pensionistico, determini il paradossale effetto di ridurre l’entità della prestazione”.
Pertanto, lo svolgimento di attività lavorativa successiva alla maturazione dei requisiti minimi per il diritto a pensione non può dar luogo ad una diminuzione dell’importo della pensione successivamente liquidata alla definitiva cessazione dell’attività lavorativa.