Una normativa nazionale che, in caso di cambiamento di sesso, subordina l’accesso alla pensione di vecchiaia (con i requisiti del sesso acquisito dalla persona interessata) all’annullamento del precedente matrimonio, è discriminatoria.
Nota a Corte di Giustizia UE 26 giugno 2018, C-451/16
Daria Pietrocarlo
Il principio è stato affermato dalla Corte di giustizia UE (26 giugno 2018, C-451/16), in relazione al caso di un uomo (MB), nato nel 1948 e sposatosi nel 1974, che aveva iniziato a vivere da donna nel 1991 e, nel 1995, era ricorso ad un’operazione chirurgica di conversione sessuale. Nel corso del 2008, MB, raggiunta l’età di sessant’anni, cioè l’età alla quale le donne nate prima del 6 aprile 1950 possono, ai sensi del diritto inglese, ottenere una pensione statale «di categoria A», ha presentato una domanda intesa a ottenere il beneficio di tale pensione, in base ai contributi versati durante la sua attività lavorativa. La domanda era stata respinta con la motivazione che MB non poteva essere trattata come donna ai fini della determinazione dell’età legale del pensionamento in quanto mancava un certificato di riconoscimento definitivo del suo cambiamento di sesso; certificato che era subordinato all’annullamento del matrimonio contratto anteriormente a tale cambiamento.
MB ha pertanto presentato ricorso dinanzi alla Supreme Court of the United Kingdom (Corte suprema del Regno Unito), sostenendo che la normativa nazionale comportava una discriminazione fondata sul sesso, vietata dall’art. 4, paragr. 1, della Direttiva 79/7. La Corte suprema ha perciò sottoposto la questione alla Corte di Giustizia UE, chiedendo, nello specifico: “Se la direttiva 79/7 (…) osti ad una normativa nazionale ai sensi della quale una persona che ha mutato sesso, oltre a dover soddisfare criteri fisici, sociali e psicologici per il riconoscimento del cambiamento di sesso, non deve essere coniugata per poter avere diritto ad una pensione statale di fine lavoro”.
Al riguardo, la Corte UE precisa preliminarmente che:
– la direttiva 79/7 si applica alle discriminazioni che trovano origine nel cambiamento di sesso dell’interessato, ossia si applicano alle persone che abbiano vissuto per un periodo significativo come persone di sesso diverso da quello della nascita e che abbiano subito un’operazione di conversione sessuale (v., in tal senso, sentenza 27 aprile 2006, C-423/04, punti 23 e 24 e la giurisprudenza ivi citata);
– la normativa nazionale, che subordina la possibilità per una persona che ha cambiato sesso di accedere ad una pensione statale all’annullamento del matrimonio eventualmente contratto prima di tale cambiamento, “riconosce un trattamento meno favorevole alla persona che abbia cambiato sesso dopo essersi sposata rispetto alla persona che ha conservato il suo sesso di nascita e che è sposata” (la quale può beneficiare della pensione, indipendentemente dal suo stato matrimoniale);
– “tale trattamento meno favorevole è fondato sul sesso ed è idoneo a costituire una discriminazione diretta, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, della Direttiva 79/7”. La situazione di una persona che ha cambiato sesso successivamente al matrimonio e quella di una persona che ha conservato il proprio sesso di nascita ed è sposata sono infatti comparabili;
– la normativa inglese, nel caso specifico, riserva, pertanto, un trattamento meno favorevole, direttamente fondato sul sesso, alla persona che ha cambiato sesso dopo essersi sposata rispetto alla persona che ha conservato il proprio sesso di nascita ed è sposata, sebbene tali persone si trovino in situazioni comparabili.
In conclusione, secondo la Corte di Giustizia UE: la direttiva 79/7/CEE (relativa alla graduale attuazione del principio di parità di trattamento tra gli uomini e le donne in materia di sicurezza sociale, e, in particolare, il suo art. 4, paragr. 1, primo trattino, in combinato disposto con i suoi artt. 3, paragr. 1, lett. a), terzo trattino, e 7, paragr. 1, lett. a)), “osta a una normativa nazionale che impone alla persona che abbia cambiato sesso, qualora intenda beneficiare di una pensione statale di fine lavoro a partire dall’età pensionabile legale prevista per le persone del sesso da essa acquisito, di soddisfare non soltanto criteri di ordine fisico, sociale e psicologico, ma anche la condizione di non essere sposata con una persona del sesso da essa acquisito in seguito a tale cambiamento”.