La busta paga sottoscritta dal lavoratore non assume valore liberatorio a favore di parte datoriale.
Nota a Cass. (ord.) 6 settembre 2018, n. 21699
Francesco Belmonte
La busta paga, ancorché sottoscritta dal lavoratore con la formula “per ricevuta”, costituisce prova solo della sua avvenuta consegna, ma non anche dell’effettivo pagamento. Non essendovi una presunzione assoluta di corrispondenza tra quanto risulta dalla busta paga stessa e la retribuzione effettivamente percepita dal lavoratore, la dimostrazione del pagamento è a carico del datore di lavoro. Dal canto suo, il lavoratore “può provare l’insussistenza del carattere di quietanza delle sottoscrizioni eventualmente apposte, fermo restando che l’accettazione senza riserve della liquidazione da parte di quest’ultimo al momento della risoluzione del rapporto può assumere, in presenza di altre circostanze precise, concordanti ed obiettivamente concludenti dell’intenzione di accettare l’atto risolutivo, significato negoziale”.
Il principio è ribadito dalla Corte di Cassazione (ord. 6 settembre 2018, n. 21699; in termini, Cass. n. 13150/2016 e Cass. n. 7310/2001), in relazione al ricorso di un lavoratore per mancato pagamento delle somme indicate in busta paga, firmata dal dipendente “per ricevuta” e non per quietanza. Di qui, la mancanza di prova della corresponsione dei relativi emolumenti.
A sostegno della sua tesi, la Cassazione osserva che l’obbligo, previsto a carico del datore di lavoro dall’art. 1, L. 5 gennaio 1953 n. 4, di consegnare ai lavoratori dipendenti all’atto della corresponsione della retribuzione un prospetto contenente l’indicazione di tutti gli elementi costitutivi della retribuzione, non riguarda la prova dell’avvenuto pagamento. Per tale prova, non sono sufficienti le annotazioni contenute nel prospetto stesso, qualora il lavoratore ne contesti la corrispondenza alla retribuzione effettivamente erogata. In tal caso, spetta al datore di lavoro la prova rigorosa dei pagamenti in effetti eseguiti; mentre è a carico del lavoratore l’onere dimostrativo della suddetta non corrispondenza solo nell’ipotesi “di provata regolarità della documentazione liberatoria e del rilascio di quietanze da parte del dipendente…” (così, Cass. n. 7310/2001, cit. e n. 1150/1994).
È, dunque, “sempre possibile l’accertamento della insussistenza del carattere di quietanza anche delle sottoscrizioni eventualmente apposte dal lavoratore sulle busta paga” (v. anche Cass. n. 9588/2001). Ciò, poiché la sottoscrizione “per ricevuta” opposta dal lavoratore alla busta paga non implica, in maniera univoca, l’effettivo pagamento della somma indicata nel medesimo documento e, pertanto, “la suddetta espressione non è tale da potersi interpretare alla stregua del solo riscontro letterale, imponendo invece il ricorso anche agli ulteriori criteri ermeneutici dettati dagli artt. 1362 e seguenti c.c..” (in questo senso, Cass. lav. n. 6267/1998).
Diversamente, “soltanto la sottoscrizione apposta dal dipendente sui documenti fiscali relativi alla sua posizione di lavoratore subordinato – CUD e mod. 101 – costituisce quietanza degli importi ivi indicati come corrisposti da parte del datore di lavoro, ed ha il significato di accettazione del contenuto delle dichiarazioni fiscali e di conferma dell’esattezza dei dati ivi riportati” (Cass. n. 245/2006).