Il TFR può essere liquidato solo alla cessazione del rapporto di lavoro e le quote accantonate sono pignorabili.
Nota a Cass. 19 luglio 2018, n. 19277 ed a Cass., ord., 25 luglio 2018, n. 19708
Alfonso Tagliamonte
A prescindere dallo stato di solvibilità del datore di lavoro, il trattamento di fine rapporto non è esigibile, da parte del Fondo di garanzia Inps, fino alla cessazione del rapporto di lavoro e alla maturazione della sua corresponsione da parte del lavoratore, anche se questi è già stato ammesso al passivo di un precedente datore di lavoro.
È quanto affermato dalla Corte di Cassazione 19 luglio 2018, n. 19277, relativamente al ricorso presentato dall’ Inps nei confronti della richiesta di liquidazione del TFR da parte di una dipendente nei cui riguardi era mutata la titolarità del rapporto in ragione di due operazioni straordinarie: la prima cooperativa, per cui aveva prestato la sua opera come lavoratrice subordinata, si era fusa (fine dicembre 2006) per incorporazione in una seconda cooperativa, onlus, la quale era stata poi sottoposta a liquidazione coatta amministrativa. La dipendente aveva perciò chiesto al Fondo di garanzia Inps la liquidazione del proprio TFR e della retribuzione (del dicembre 2007) ai sensi dell’art. 2, L. n.297/1982. L’Istituto ha rifiutato l’erogazione anche perché, all’inizio del 2008, la lavoratrice era transitata nell’organico di una terza cooperativa per effetto di cessione del ramo d’azienda.
Il Collegio ha cassato la decisione di segno contrario di App. Torino, secondo cui una, volta perfezionata l’ammissione al passivo, il diritto del lavoratore alla liquidazione del proprio Tfr e della retribuzione si perfezioni a seguito della domanda di accesso al Fondo e l’Inps non può rifiutarsi di liquidare le spettanze richieste. E ricostruendo in modo puntuale il quadro normativo nazionale e comunitario (v. Direttiva 2008/94/CE in merito alle garanzie fornite ai lavoratori dipendenti circa i propri emolumenti retributivi e di fine rapporto) osserva che già l’Inps (Circ. n. 74/2008) e la stessa giurisprudenza (Cass. n. 19291/2011) avevano chiarito che il presupposto per liquidare il trattamento di fine rapporto a carico del Fondo, in linea con l’art. 2120 c.c., è la cessazione del rapporto di lavoro (v. Cass. n. 2827/2018). In altre parole, per la Corte, affinché sorgano i presupposti per l’intervento del Fondo, è necessario che: a) sia venuto ad esistenza l’obbligo di pagamento del T.F.R. fissato dall’art. 2120 c.c. e dall’art.2, L. n. 297/1982 in capo al datore di lavoro; b) egli, in tale momento, si trovi in stato di insolvenza e che “ l’insolvenza riguardi il soggetto titolare in atto del rapporti di lavoro, il datore di lavoro cioè che è tale al momento in cui avviene la risoluzione del rapporto di lavoro”.
Tali circostanze non si sono verificate nel caso sottoposto all’esame della Corte poiché il rapporto di lavoro, per effetto dell’operazione straordinaria di incorporazione e della cessione di ramo d’azienda (ex art. 2112 c.c.), era proseguito senza soluzione di continuità. Il lavoratore aveva così mantenuto l’anzianità di servizio e l’accantonamento del trattamento di fine rapporto maturato, che era stato materialmente traslato dal soggetto cedente a quello cessionario e subentrante nella totalità dei rapporti di lavoro.
La Corte di Cassazione in un’altra rilevante decisione (ord. 25 luglio 2018, n. 19708) ha poi precisato che “le quote accantonate del trattamento di fine rapporto sono intrinsecamente dotate di potenzialità satisfattiva futura e corrispondono ad un diritto certo e liquido, di cui la cessazione del rapporto di lavoro determina solo l’esigibilità, con la conseguenza che le stesse sono pignorabili e devono essere incluse nella dichiarazione resa dal terzo ai sensi dell’art. 547 c.p.c.” ( Cass. n. 1049/1998).
Il TFR, dunque, è un credito che il lavoratore matura già in costanza di rapporto di lavoro e la cui esigibilità è subordinata al momento della cessazione del rapporto stesso. E, dal momento che (anche ai sensi dell’art. 533, co.1 e 2, c.p.c.) i presupposti per l’assoggettabilità di un credito a pignoramento sono soltanto la sua certezza e liquidità (o liquidabilità in base a parametri oggettivi), ma non la sua esigibilità, nulla impedisce la pignorabilità del TFR, fermo restando che l’ordinanza di assegnazione non potrà essere eseguita prima che maturino le condizioni per il pagamento. Infatti, il terzo pignorato, dal momento che viene giudizialmente ceduto al creditore procedente, “potrà opporre a quest’ultimo tutte le eccezioni che poteva opporre al proprio creditore originario (ossia al debitore esecutato), ivi inclusa la non esigibilità delle somme”.
In particolare, “anche dopo la riforma del settore disposta con il decreto legislativo n. 252 del 2005, le quote accantonate del trattamento di fine rapporto, tanto che siano trattenute presso l’azienda, quanto che siano versate al Fondo di Tesoreria dello Stato presso l’I.N.P.S. ovvero conferite in un fondo di previdenza complementare, sono intrinsecamente dotate di potenzialità satisfattiva futura e corrispondono ad un diritto certo e liquido del lavoratore, di cui la cessazione del rapporto di lavoro determina solo l’esigibilità, con la conseguenza che le stesse sono pignorabili e devono essere incluse nella dichiarazione resa dal terzo ai sensi dell’art. 547c.p.c.. Tale principio, valevole per i lavoratori subordinati del settore privato, si estende anche ai dipendenti pubblici, stante la totale equiparazione del regime di pignorabilità e sequestrabilità del trattamento di fine rapporto o di fine servizio susseguente alle sentenze della Corte costituzionale n. 99 del 1993 e n. 225 del 1997″.